I suicidi tra gli adolescenti, realtà dolorosa del nostro paese e della provincia di Bolzano
In Italia, un adolescente al giorno tenta il suicidio. L’esperta: “Chiedere ed offrire aiuto è l’unica strada per non soccombere”
“Chiedere aiuto è l’arma più potente a nostra disposizione. E’ un segnale di grande forza: quella che serve per iniziare la risalita.” Giuditta Sereni, Pedagogista clinica in forza al Forum Prevenzione, non ha dubbi. La via maestra per sottrarsi a situazioni di pericolo che possono condurre fino al suicidio è quella di lasciarsi aiutare. Dalla famiglia, dalla scuola, dall’allenatore sportivo: la società deve collaborare e cercare di mettersi a disposizione di chi necessita di essere ascoltato.
Le statistiche nazionali indicano che ogni giorno un adolescente tenta di togliersi la vita. Numeri da brivido, che ci portano immediatamente a chiederci se anche in Alto Adige la situazione sia la stessa. Sereni: “Purtroppo anche nella nostra provincia si verificano casi di questo tipo. A volte i ragazzi danno dei segnali, ma altre volte, purtroppo, no. Il disagio non è sempre decifrabile, anzi: è importante non colpevolizzare le famiglie. Ciò che si può e si deve fare è mettersi in ascolto, come società. Non mi riferisco solo all’attenzione ai giovani, ma a tutte quelle situazioni delicate che abbiamo intorno: vicini anziani, mamme single e, naturalmente, figli adolescenti.”
NON TUTTI I MALI POSSONO ESSERE IMPUTATI AL COVID
Offrire concretamente aiuto e sostegno agli altri è fondamentale. Ma forse ciò che è ancora più importante è iniziare da noi stessi: chiedendoci se stiamo bene, cosa proviamo. Lo stesso esercizio andrebbe poi ripetuto in famiglia e a scuola: il modello attuale di società che richiedi ritmi e prestazioni sempre più accelerate spesso non va d’accordo con la riflessione, l’analisi e l’elaborazione di quanto ci accade e accade intorno a noi.

“Si sente spesso parlare del Covid come causa di moltissimi fenomeni, inclusa la crisi dei giovani e il suo epilogo più nero. Non penso si possa ascrivere tutto alla pandemia, che per alcuni è stato anche un periodo positivo, in cui si sono recuperati i rapporti familiari e si è avuto più tempo per sé stessi. D’altro canto, il Covid è stato un acceleratore e ha fatto emergere alcuni fenomeni legati ai social media.”
SCONFORTO E MANCANZA DI FIDUCIA NEL FUTURO
Sì, perché negli anni della pandemia, soprattutto nei periodi di maggiore isolamento l’appoggio della rete internet e dei social, con il loro carico di amici virtuali, hanno in tanti casi aiutato a superare i momenti più difficili. Purtroppo, però, il loro portato non si è fermato qui, trasformandosi in un’arma pericolosa per alcune categorie come, appunto, i più giovani: “I ragazzi si sono trovati sempre più coinvolti nella rete, alimentando anche rapporti con persone – o forse è più corretto dire profili – che prima non conoscevano. Ed ecco che alcuni si sono trovati in situazioni pericolose, di adescamento. Sono piombati in contesti non adeguati. Ne è conseguito anche un incremento di hate speech, cyberbullismo e bodyshaming. Perché? Perché c’era più tempo a disposizione, ci si annoiava e certe situazioni venivano percepite anche come divertenti – certamente non da chi le subiva.”
Nel dopo Covid tutto questo non è sparito, anzi: le guerre, la crisi climatica ed altri disastri hanno creato un clima di sconforto e di mancanza di fiducia per il futuro. Negatività che ha colpito soprattutto i giovani, i quali si trovano schiacciati tra la mancanza di prospettiva e le richieste pressanti di una società che va alla velocità della luce e chiede performance sempre migliori e maggiore efficienza, senza interessarsi dell’interiorità, della sensibilità degli individui.
RENDERE SOLIDI I RAGAZZI OFFRENDO LORO TUTTI GLI STRUMENTI
Per alcuni questo è semplicemente troppo: “Quelli che non riescono a reagire vivono solo la pars destruens dell’essere adolescente, ovvero la contestazione aggressiva, la rivolta virulenta contro la società ed i veri e propri atti di violenza, che rivolgono agli altri ma anche a sé stessi. Lasciano uscire la parte peggiore di loro stessi, vivendo solo nel qui e ora, che è l’unica dimensione che vedono e sanno immaginare.”
Chi può fare qualcosa? “La scuola, la società. Quando vedo che ai bambini non si permette più di andare negli ospedali a trovare i cari ammalati o non li si fa più presenziare ai funerali, a vantaggio di una visione della vita che deve essere perfetta, senza sbavature, ed estremamente “felice”, come la vediamo in rete, mi chiedo se non stiamo solo aggiungendo ansia per il raggiungimento di un obiettivo effimero, che non esiste: la vita è varia, le difficoltà e la morte ne fanno parte. Dobbiamo dare gli strumenti per affrontare tutte le situazioni, per rendere solidi i nostri ragazzi.”
“La vita non è un film” come cantavano gli Articolo 31, nel lontano 2002.