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Pidocchi, un piccolo grande problema altoatesino

La mancanza di dati aggregati a livello provinciale non consente di comprendere la dimensione del fenomeno. Tra le ragioni che potrebbero spingere le famiglie a non informare la scuola dei casi di pediculosi, l’imbarazzo e le regole burocratiche

Stando ai dati delle scuole dell’infanzia della città di Bolzano – in cui, da settembre ad oggi, si rilevano appena 30 casi su 1600 bambini frequentanti, il tema della pediculosi non sembra essere preoccupante.

I numeri sono però molto parziali e non restituiscono un quadro preciso, dal momento che l’intendenza scolastica non è tenuta a raccogliere queste informazioni, né a comunicarli alla ASL. Sono solo le singole scuole a tenere traccia dell’accaduto, ma anche questa rilevazione potrebbe non essere efficace a causa della possibile reticenza delle famiglie nel comunicare il contagio.

IL PEDIATRA DEVE CERTIFICARE L’AVVIO DEL TRATTAMENTO ANTIPEDICULOSI

Nel caso in cui sia il personale scolastico a sospettare che un alunno sia stato contagiato dalla pediculosi, la procedura è piuttosto chiara. Deborah Marchi, coordinatrice della scuola dell’infanzia Città dei Bambini di viale Venezia, spiega il protocollo: “Se ci accorgiamo a scuola che un bambino avverte prurito, informiamo la famiglia e chiediamo ulteriori indagini. Gli insegnanti, infatti, non devono e non possono ispezionare il capo del bambino. Se il pediatra conclude che si tratti di pediculosi, dovrà sottoscrivere un certificato per la riammissione a scuola, in cui afferma che il paziente ha iniziato il trattamento antipediculosi”.

E, qui, iniziano i punti interrogativi. Il medico, infatti, firma senza effettivamente sapere se la famiglia si atterrà alle indicazioni.

“Il secondo step, per noi, consta nell’informare la comunità scolastica del caso di pediculosi con un cartello e sulla piattaforma Weschool. Ovviamente mantenendo l’anonimato del bambino. Alleghiamo sempre anche l’opuscolo dell’azienda sanitaria che spiega quali siano le procedure da compiere anche a casa. Per quanto riguarda noi, siamo tenuti a chiudere per 14 giorni tutti i tessili in un sacco di plastica”.

DUBBI SU COME TRATTARE I TESSILI

Le risorse in rete, a dire la verità, non sono unanimi nel consigliare come gestire la pediculosi in ambienti interni. Persino tra ASL regionali le informazioni differiscono.

Ad esempio, si concorda sulla necessità di lavare i tessili che siano venuti in contatto con l’ospite dei pidocchi ad almeno 60°, ma si differisce nelle modalità di trattamento di tutto ciò che non può essere messo in lavatrice: si passa da una quarantena consigliata, all’aperto o in sacchi di plastica chiusa, che va dai 2 ai 14 giorni.

Altro punto fermo è l’indicazione di utilizzare un pettine a denti stretti per la rimozione delle lendini, cioè le uova di pidocchio. Si converge anche sul risciacquo dei capelli con acqua e aceto dopo il trattamento farmacologico. In questo caso, però, è la ricetta giusta a mancare, in modo che la concentrazione dell’aceto sia efficace ma non danneggi il cuoio capelluto.

SI STIMA CHE IL 25% DEI BAMBINI VENGA CONTAGIATO DALLA PEDICULOSI

La direttrice Marchi insiste sulla sensibilizzazione delle famiglie sulla pediculosi, in modo che la scuola venga avvertita tempestivamente e che possa attuare le necessarie contromisure. Anche se, come ammette lei stessa: “Ci sono famiglie che possono sentirsi in imbarazzo e preferiscono non dire nulla. Così facendo, purtroppo, ci impediscono di fare la nostra parte e si rischia che il contagio si estenda ad altri bambini.”

Happy teenagers in the foreground

Non solo l’imbarazzo, ma anche l’eccesso di burocrazia tra le possibili cause di omertà familiare. A differenza delle altre regioni, infatti, dove la riammissione è prevista con l’autocertificazione dei genitori che attesta l’avviamento del trattamento antipediculosi, in provincia di Bolzano bisogna obbligatoriamente passare dal medico, anche se l’infestazione è già stata riscontrata e trattata secondo le corrette procedure in casa.

Per dare una misura della sottostima del dato del contagio da pediculosi a livello nazionale, basta consultare i dati della Società Italiana di Tricologia, che indicano che negli ultimi 30 anni in Italia e in tutto il mondo il numero di persone colpite da pediculosi del capo sia enormemente aumentato. Ad essere interessati soprattutto i bambini fra i 3 e gli 11 anni, con una stima di soggetti colpiti che arriva al 25%, un quarto della popolazione, a cui si giunge anche a causa della mancata comunicazione delle famiglie alla scuola.

E, quindi, come incentivare in Alto Adige la collaborazione delle famiglie con la scuola? Probabilmente la possibilità dell’autocertificazione, offerta in altre regioni, ed una informazione univoca sulle procedure, potrebbero fare la differenza.

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