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Si parla abbastanza di educazione sessuale nelle scuole di Bolzano?

Il numero degli istituti che hanno adottato un programma ad hoc resta sconosciuto, ma gli studenti richiedono che si parli di più di identità sessuale, di genere e di prevenzione. Molti genitori ed insegnanti restano perplessi: si cercano nuove soluzioni per portare l’argomento tra i banchi di scuola

Il tema dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole è da sempre uno degli argomenti più spinosi e complessi con i quali le istituzioni scolastiche devono periodicamente confrontarsi. Non esistendo una legge a livello nazionale che ne imponga l’insegnamento, ogni scuola ha la possibilità di adottare un piano formativo unico e personale rispetto a quello degli altri istituti. “Al momento non abbiamo contezza di quante scuole abbiano attivato al loro interno un piano di educazione sessuale e affettiva”, spiega il sovrintendente scolastico Vincenzo Gullotta, “dal momento che sono le scuola sulla base delle nostre indicazioni provinciali a predisporre la propria offerta formativa. Ciò avviene dopo aver sentito il collegio dei docenti ed il consiglio d’istituto, al quale prendono parte anche i rappresentanti dei genitori”. L’insegnamento di questa materia viene dunque lasciato alla discrezione dell’istituto, il quale presenta alle famiglie al momento dell’iscrizione il PTOF (piano triennale di offerta formativa), contenente le indicazioni sul piano di educazione sessuale ed affettiva che l’alunno andrà a svolgere nel corso dell’anno accademico. Tutti gli anni i singoli istituti adottano un nuovo piano formativo che può di volta in volta includere diverse figure specializzate sull’argomento.

Le scuole devono conformarsi alle indicazioni provinciali che sono state predisposte dagli ispettori. Si tratta di linee-guida molto generali alle quali tutti possono accedere attraverso il sito della sovrintendenza. Questi macro temi vengono poi elaborati dalle singole scuole anche attraverso un dialogo con i genitori presenti nel consiglio d’istituto”. Per quanto riguarda il primo ciclo d’istruzione, i piani devono portare gli alunni ad una conoscenza di loro stessi, ad acquisire la capacità di sapersi relazionare correttamente con gli altri e di esprimere emozioni e sentimenti in un modo appropriato. Nei piani delle scuole superiori invece il tema della sessualità e della prevenzione viene trattato in modo più peculiare ed approfondito.

La scuola è il luogo più adatto dove parlare di educazione sessuale?

Secondo l’assessore provinciale alla scuola Giuliano Vettorato, “il compito della scuola è quello di istruire i ragazzi nelle varie situazioni e l’insegnamento dell’educazione sessuale serve a formare dei buoni cittadini“. Guardando però ad un’indagine fatta su 200 istituti, il tempo che viene dedicato all’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole è di circa 6 ore all’anno, anche se in alcuni casi il tutto si esaurisce in un’unica seduta. Questo fa sì che la maggioranza degli adolescenti italiani (intorno all’85% secondo una ricerca condotta dal Ministero della Salute) ricorra ad internet per informarsi sulle tematiche legate alla sfera sessuale e sull’identità di genere. “Su internet non si può trovare la conoscenza di un professore o di un esperto in materia“, ha dichiarato Rayan Jaafari, rappresentante d’istituto del liceo Pascoli, “l’anno scorso sono venuti degli psicologi del consultorio a parlarci un po’ dell’argomento durante le autogestioni ma al momento non c’è un programma attivo, sebbene se ne sia parlato. L’educazione sessuale risponde ad un bisogno di autonomia ed è meglio affrontarla in un luogo personale come la scuola, dove uno studente può essere sostenuto dai propri compagni e docenti”.

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Quando si cerca però di trovare le vere ragioni per le quali spesso è difficile attivare dei programmi di educazione sessuale all’interno delle scuole, non c’è una risposta univoca. “I miei docenti non parlano mai della questione” ha sottolineato il rappresentante degli studenti del Pascoli, ma spesso e volentieri il rifiuto verso questo tipo di insegnamento viene anche da altre figure che compongono i consigli d’istituto. “Nelle scuole primarie, ci sono molti progetti attivi: sono le classi però che finiscono per non aderirvi”, ha spiegato il segretario regionale della UIL Scuola RUA Trentino Alto Adige Sudtirol Marco Pugliese, “a volte sono gli stessi genitori che si mettono di traverso”. I diversi orientamenti religiosi e socio-culturali che caratterizzano le famiglie dei ragazzi possono incidere significativamente sulla questione, ostacolando la realizzazione di iniziative e progetti. I docenti si trovano dunque in una situazione delicata, divisi tra la volontà di impartire questo tipo di insegnamento ai ragazzi e le pressioni dei genitori che, spesso e volentieri, hanno la meglio.

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Progetti innovativi per parlare di educazione sessuale

Tra chi preferisce adottare un approccio “classico” e chi invece ricorre ad idee fantasiose e creative, i modi per parlare dell’identità sessuale e di genere sembrano essere infiniti. Alcuni di questi prendono ispirazione proprio da quelle materie che sono già inserite all’interno dell’offerta formativa della scuola. “I professori di scienze potrebbero parlare in modo più approfondito dell’apparato riproduttivo”, ha suggerito sempre Rayan Jaafari, “ma anche materie come italiano, inglese e soprattutto latino potrebbero essere utili: la letteratura latina tratta spesso della sessualità e se ne parla poco”. “Sarebbe interessante realizzare dei progetti di stampo “storico” parlando dei diversi personaggi della storia, ad esempio Cesare che era bisessuale o la figura delle Amazzoni”, ha affermato invece Marco Pugliese. Un approccio di questo tipo permetterebbe agli istituti scolastici di trovare più facilmente un compromesso sul tipo di piano formativo da adottare”.

Benedetta Conti

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