Il Lager negato di Bolzano: memoria che risorge dalle ceneri del silenzio
C’è una terra che conosco bene, #Bolzano, la mia Bolzano. Un luogo che, come un vecchio che non vuol ricordare, ha per anni nascosto sotto il tappeto della storia il suo capitolo più oscuro: il #Lager di via Resia. Un campo che si negava, che si spacciava per altro, mentre io stesso, bambino, ci giocavo accanto, ignaro della storia che la mia nonna Maria mi avrebbe raccontato anni dopo.
La #memoria, si sa, è un muscolo fragile. E se non la si esercita, si atrofizza. Così è accaduto qui, in Alto Adige, dove per decenni si è preferito dimenticare ciò che accadde tra il 1943 e il 1945. La politica del silenzio, per quieto vivere. Ma la storia è testarda, e sepolta male, prima o poi riemerge. Grazie a una donna, Carla #Giacomozzi, che negli anni ’90 ebbe il coraggio di scavare, di mettere insieme i pezzi, di risvegliare coscienze sopite.
Eppure, il silenzio aveva i suoi complici. Gli “espertoni” di storia locale, quelli sempre pronti a declamare la superiorità di questo o quel popolo, non sembrano ricordare molto del fenomeno #Sod. Quei poliziotti sudtirolesi, figli del partito nazista, che spuntarono come funghi velenosi dopo l’8 settembre 1943. Una milizia che non si limitava al rastrellamento della popolazione italiana, ma operava con la Wehrmacht e le SS, perquisendo case, deportando persone, spargendo terrore nei grandi centri.
La mia famiglia ne sa qualcosa. Mia nonna Maria aveva 27 anni quando i Sod irruppero nella sua casa a Bressanone. Arrestarono mia zia Regina, venticinquenne e malata di tubercolosi, su segnalazione di vicini che, fino al giorno prima, si consideravano amici. Regina tornò in Veneto, dove morì poco dopo. Mio nonno Attilio, operaio nelle Acciaierie, subì botte e umiliazioni per non aver fatto il saluto romano. E poi ci sono episodi che sembrano usciti da un romanzo nero: Attilio fu salvato dalla fucilazione da due soldati della Wehrmacht, dopo essere stato sorpreso a rubare telefoni in stazione.
Questi racconti non sono favole né esagerazioni. Sono frammenti di verità, tramandati da chi li ha vissuti con lucidità. Mia nonna ricordava ogni dettaglio, fino a quel Lager di via Resia che, per anni, si è preferito spacciar per qualcos’altro. La confusione, il #silenzio, la colpevole ignoranza hanno aiutato questa terra a lavarsi le mani di una memoria scomoda.
È stata la determinazione di pochi, come Carla Giacomozzi, a ridare dignità alla verità. E, ironia della sorte, persino il ricordo mediatico di un presentatore, Mike Bongiorno, internato proprio qui, ha contribuito a squarciare quel velo d’omertà. Oggi, il Comune di Bolzano ha finalmente riportato il Lager al centro del discorso storico, ma la strada è stata lunga e faticosa.
Quel silenzio, però, ha ucciso due volte le vittime di via Resia: prima con la #violenza, poi con l’oblio.
Ecco perché è essenziale continuare a raccontare. Perché la memoria, se non viene alimentata, si spegne. E con essa, muore anche la nostra umanità.
✍️ Marco Pugliese