Giulia uccisa da un ragazzo “normale”: ora reagirete?
Giulia Cecchettin ha 22 anni. Vive a Padova, dove frequenta la facoltà di ingegneria biomedica. Lo farà ancora per poco: mancano pochi giorni all’agognata laurea e presto andrà altrove. Si iscriverà ad un corso di fumettismo a Bologna per coltivare la sua passione. Il suo secondo profilo Instagram è infatti pieno di disegni allegri e colorati, tra i quali spicca quello di una papera che avvolge amorevolmente i suoi cuccioli tra le ali.
Il rimando a mamma Monica è chiaro, scomparsa un anno fa per una brutta malattia: questo è il modo di Giulia per ricordarla.
La sua mancanza si sente ma la ragazza, insieme ai fratelli Elena e Davide e il papà Gino, conduce una vita normale. Esce con gli amici, studia, cresce pian piano in una comunità di persone che la amano per la persona speciale che è. I suoi profili social sono lo specchio della sua spensieratezza e gioia di vivere: in tutte quelle foto che non la ritraggono mentre fa una smorfia divertita in compagnia degli amici, il suo sorriso riempie interamente l’inquadratura. E fa sorridere di rimando chi lo vede.
Mi piacerebbe non dover proseguire il racconto di questa ragazza, a dir la verità mi piacerebbe non sapere nulla di Giulia Cecchettin.
Far sì che tutto quello che è accaduto dopo non sia la realtà dei fatti, quanto più le fantasie maligne di una mente sadica e malata.
Ma questa storia, purtroppo, si macchia di un finale terribile.
Un finale sentito e risentito che costituisce il triste epilogo della vita di tantissime Giulia. Per la precisione, quest’anno, di 105 di loro. E quelle fantasie maligne, che dette così sembrerebbero appartenere ad un mondo ultraterreno lontanissimo dal nostro, non sono altro che le azioni di un ragazzo come tanti.
Questo perché non c’è niente di mostruoso o malato in Filippo Turetta, l’ex fidanzato di Giulia che, dopo averla rapita, picchiata, accoltellata e lasciata morire dissanguata, ne ha occultato il corpo facendolo precipitare in un burrone. In fondo, non c’è niente che lo renda la “mela marcia” del sistema: se si pensa a quali possano essere state le ragioni del suo gesto, difficilmente se ne viene a capo. Ma c’è chi cercherà di dare una risposta a questi interrogativi, anche dopo che si sarà fatta chiarezza su quanto accaduto, e i giornali proveranno incessantemente a ricostruire il suo passato per riconoscerne la falla nel sistema, quel piccolo dettaglio che ha fatto sì che “un bravo ragazzo” come tanti diventasse un assassino.
Il momento esatto in cui Filippo Turetta è diventato l’eccezione alla regola.
Perchè di un’eccezione si tratta, no?
Sicuramente deve aver avuto qualche problema da piccolo, magari un’infanzia infelice data dai genitori assenti, che lo ha portato a fare ciò che ha fatto. O forse qualcosa ha smesso di funzionare nella sua testa al momento dell’omicidio, come dirà il padre Nicola alla stampa dopo il suo arresto: “sarà sicuramente impazzito”. Certo, dev’essere questa la spiegazione. L’unica e sola. Un gesto mostruoso compiuto da un mostro, da una persona fuori dall’ordinario che non ha niente a che vedere con la realtà che lo circonda.
La storia di Giulia però dà a tutte queste supposizioni una risposta negativa. La complessità della vicenda fa sì che non venga lasciato spazio alla libera interpretazione dell’opinione pubblica che ora, più che cercare l’ago nel pagliaio di una società perfetta dove i bravi ragazzi impazziscono e commettono femminicidi, è chiamata a guardarsi dentro, a studiare le sue stesse impalcature strutturali, ma soprattutto a chiedersi se questa sia la prima volta che ci si scontra con personalità come quella di Filippo Turetta, un ragazzo che, forse, ha come unico difetto proprio quello di essere “uno come tanti”.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: all’interno di questa storia, chi è Filippo Turetta?
Egli non è altro che l’eccesso, l’incarnazione del comportamento ultimo che i ragazzi “come tanti” hanno imparato ad avere nei confronti delle donne che li rifiutano e che intendono tenerli lontani dalle loro vite.
É la potenza che si trasforma in atto, la capacità di rivendicare la propria supremazia e prevaricazione nei confronti dell’altro sesso, socialmente trattato come più debole nei più svariati ambiti della vita quotidiana.
Ed è con queste premesse che Filippo Turetta si inserisce nel racconto di questa vicenda, destinata a finire nel modo più atroce e, purtroppo, più prevedibile.
Giulia e Filippo si incontrano, si conoscono e si mettono insieme. Nel corso della loro relazione però, la giovane ragazza si rende conto che alcuni comportamenti del suo fidanzato non fanno che opprimerla e farla sentire a disagio: la gelosia di lui si tramuta spesso nella richiesta insistente di controllare con chi si stia scrivendo al cellulare, in chiamate e messaggi assillanti, in quell’obbligo di accompagnarla dovunque vada mascherato da premura e attenzione e addirittura nel desiderio che lei non si laurei prima di lui, consapevole dei piani della ragazza di cambiare città.
“Abbiamo iniziato questo percorso insieme e lo finiamo insieme”: l’identità di Giulia non è niente se non è affiancata da quella del suo fidanzato.
Queste sono all’apparenza piccole cose che portano Giulia a rompere con Filippo.
I mesi che seguono la fine della loro relazione sono intensi e complicati: Filippo, al quale la nostra società di matrice patriarcale ha insegnato che la decisione di concludere un rapporto, più che qualcosa da assumere senza ulteriori discussioni, è una scelta da poter accettare o rifiutare, non si capacita di come Giulia abbia potuto lasciarlo. La cerca, la prega di ritornare con lui perché, come dirà la stessa in uno degli ultimi audio Whatsapp inviato ad un’amica, “è super depresso, ha smesso di mangiare, passa le giornate a guardare il soffitto, pensa solo ad ammazzarsi”.
L’incapacità di Filippo di metabolizzare la rottura ricade su Giulia, alla quale qualcuno si è persino permesso di muovere il rimprovero di aver avuto un cuore troppo puro nei confronti di chi avrebbe fatto scempio di lei e della sua esistenza.
Quelle parole che agiscono sulla ragazza come delle vere e proprie forme di ricatto (perché di questo si tratta) la spingono a continuare un rapporto con Filippo, al quale manda qualche messaggio e con cui esce ogni tanto, con la speranza di farlo sentire meglio e di allontanarlo sempre di più dalla sua vita.
Ma Giulia comincia ad essere irrequieta e a provare paura nei confronti di quel ragazzo che sembra non riuscire a vivere senza di lei, condannandola così a subire il controllo del suo ex fidanzato che, in modo subdolo e sottile, fa di tutto per continuare ad averla per sé.
La laurea di Giulia però è imminente e con essa l’inizio di un nuovo capitolo a Bologna, dove Filippo sa che non potrà seguirla. Ed è qui che la nostra storia smette di avere senso.
Giulia non si laureerà mai, perché Filippo ha deciso così.
Pochi giorni prima della proclamazione infatti Filippo chiede a Giulia di vedersi dopo cena per parlare. Una conversazione che nel giro di poco tempo assumer i contorni di una litigata furiosa. La fine di questa discussione, purtroppo, la conoscete già tutti.
Ho deciso di parlare in modo approfondito di tutto quello che è successo prima che Giulia incontrasse per l’ultima volta Filippo perché quello che è successo dopo a molti può sembrare fuori dalla comprensione umana, un evento che esula completamente dal normale andamento delle cose, per quanto spesso e volentieri in realtà non sia così.
Ho dedicato la mia narrazione ai comportamenti di Filippo antecedenti all’omicidio perché sono proprio quelli a dover suscitare in noi stessi sentimenti di sdegno e preoccupazione.
La leggerezza con cui Nicola Turetta ha definito la gelosia del figlio “tipica di qualsiasi giovane di quell’età” è preoccupante. Sono narrazioni di questo tipo che non fanno che alimentare l’idea malsana che una gelosia capace di portare un individuo a privare completamente l’altro della sua libertà sia “qualcosa di normale per l’età che si ha”.
I pensieri di Nicola Turetta non sono altro però che l’espressione di un contesto sociale più ampio di cui tutti noi facciamo parte, costruito per privilegiare gli uomini e mettere in pericolo l’integrità e l’esistenza delle donne.
Ritenere che fosse normale per Filippo far ricadere su Giulia il compito di aiutarlo ad elaborare la rottura del proprio rapporto spoglia completamente il suo carnefice della responsabilità di gestire le sue emozioni e comportarsi di conseguenza.
Non è mai l’uomo che deve relazionarsi con i propri stati d’animo, quanto più la donna a dover evitare che egli debba trovarsi faccia a faccia con sentimenti come la rabbia e la tristezza, capaci di “tramutare la sua gelosia in comportamenti aggressivi e violenti”.
Alla luce di ciò, come ha potuto Giulia anche solo pensare di poter lasciare Filippo?
Di poterlo ferire nella sua vera natura di uomo, unico a poter decidere effettivamente se la loro storia fosse parte del passato o meno?
Ma soprattutto, che cosa mai ha permesso a Giulia di immaginarsi un futuro in cui Filippo non fosse presente in una posizione di privilegio, al suo fianco nel ruolo del suo fidanzato?
É bastato vederla desiderare una vita diversa, lontana dalla sua relazione passata con Filippo, per far sì che Giulia non avesse più un futuro.
Tutti in questi giorni hanno espresso la propria opinione su quanto è accaduto, più di quanto sia stato fatto in passato in presenza di altri casi analoghi.
Questo perché questa storia, a differenza di tante altre nelle quali si era riuscito a trovare un capo espiatorio diverso da quello della cultura machista e patriarcale sul quale spostare l’attenzione, ci appare così vicina e personale da permetterci di immedesimarci negli stati d’animo delle persone coinvolte.
La paura e la rabbia di Giulia che sogna una vita lontana da Filippo.
Il controllo e la prevaricazione di Filippo sull’ex fidanzata, tale da portarlo a dichiarare alle autorità tedesche di aver ucciso “la sua ragazza”, come se stessero ancora insieme al momento dell’omicidio. Come se Giulia fosse mai stata sua.
Dopo la sua morte, lo sdegno e la vicinanza di milioni di donne si è riversato nelle piazze, nelle conversazioni di tutti i giorni, fino ad assumere le forme di uno dei dibattiti social più grandi ai quali abbiamo assistito dopo anni di ingiustizie sociali.
Alla notizia di un’altra sorella uccisa, milioni di chiavi risuonano per tutta Italia.
Il minuto di silenzio viene sostituito da giorni di rumore assordante.
Lo fanno soprattutto per Giulia e per sua sorella Elena, che nonostante si trovi a vivere uno dei momenti più dolori della sua esistenza continua ad apparire davanti a giornalisti e telecamere per parlare alla coscienza di ognuno di noi e chiedere a chi sa di essere colpevole di prendersi le proprie responsabilità. Non parla solo di Turetta, ma si rivolge a tutti colori che, violenza dopo violenza, hanno contribuito a creare un ambiente dove quelli come Filippo si sentono legittimati a sentirsi superiori alle donne. Dove i “bravi ragazzi” possono crescere fino a diventare potenziali assassini.
Alla risposta solidale delle donne però si contrappone quella di molti uomini, incapaci di riconoscere nei loro gesti quotidiani un continuo incentivo allo sviluppo di una società dove il patriarcato regna sovrano.
Perchè loro non avrebbero mai ucciso Giulia, loro queste cose non le fanno. Ma se si tratta delle classiche battute sessiste da spogliatoio, di quell’istinto che li spinge sul posto di lavoro a dare più credito alle parole di un altro uomo che di una donna, del gender gap, dei fischi per strada, del “per uscire con le amiche devi prima chiedermi il permesso” e della gelosia cieca che a volte li costringe ad alzare le mani beh, allora sì. Certo che lo fanno. Ma uccidere no, uccidere è troppo anche per loro e questo li esenta dall’aprire gli occhi sulla condizione di privilegio in cui vivono e dal fare mea culpa.
Così, per ogni donna che Elena Cecchettin ha ispirato e addirittura aiutato a denunciare un caso di violenza, c’è un uomo che, piuttosto che guardarsi dentro, preferisce accanirsi sul modo in cui si è presentata davanti alle telecamere, vestita con abiti definiti “satanisti” e con una lucidità e compostezza tali da mettere in discussione persino come stia affrontando la sua sofferenza personale. Per quanto li riguarda, dovrebbe essere sconvolta, a piangere incessantemente in un angolo di casa sua vestita a lutto, non ad esibirsi davanti ai giornali in una “recita ideologica”, come l’ha definita Stefano Valdegamberi, il consigliere del centrodestra in Veneto. Uno schiaffo in faccia alla forza e all’intelligenza che Elena continua a dimostrare di avere, anche in seguito alla morte violenta della sorella per mano di una società che, non contenta, la accusa addirittura di non mostrare in modo plateale di essere distrutta dal dolore.
Questa storia si conclude così, con l’ennesima ragazza uccisa dalle mani di un uomo, l’ennesima famiglia distrutta, l’ennesima prova di vivere in un mondo dove nessuna donna può sentirsi al sicuro.
Nell’attesa che qualcosa si muova, non ci resta che continuare a fare rumore e pretendere che i vertici della politica si adoperino per adottare misure preventive che educhino gli uomini al rispetto e alla parità dei sessi. Istituendo magari quel famoso programma obbligatorio di educazione sessuale e affettiva, tanto discusso e contestato di cui in questo momento abbiamo un estremo bisogno.
Un cambiamento è necessario, aspettare ancora significa condannare a morte altre donne. Un abbraccio sincero va a Giulia, alla famiglia Cecchettin e a tutte coloro che, ogni giorno, sentono di poter essere le prossime, ma mai le ultime.
Benedetta Conti

