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Quei bambini colpevoli senza colpa

“Le mie notti sarebbero un incubo al solo terribile pensiero di un innocente che sconta tra i tormenti crudelissimi una colpa che non ha commesso.” – Emile Zola

Quando pensiamo ai #condannati alla detenzione in #carcere, può succedere di commettere l’errore di spogliare quelle persone delle loro connotazioni personali, riducendole al solo ruolo di #criminali che hanno commesso un determinato reato. 

Si dovrebbe invece cercare di tenere a mente che anche coloro che commettono dei crimini hanno dei rapporti interpersonali e giocano un ruolo nella vita degli altri, spesso anche di una certa rilevanza: tutto ciò implica da parte del diritto penale la predisposizione di una particolare #tutela nei confronti di queste persone. 

Il ricorso a diversi istituti giuridici, che mirano in realtà anche a finalità ulteriori, costituisce una risposta a queste situazioni. Tra questi istituti, troviamo le misure alternative alla detenzione. L’idea è che, in presenza di determinati requisiti che attengono sia alla durata di pena da scontare che a caratteristiche particolari che devono avere i condannati che ne fanno richiesta, essi possano scontare la propria #pena, in tutto o in parte, in un luogo diverso dal carcere.

Per le detenute madri (o padri, qualora la madre sia impossibilitata) che non vogliono separarsi dal proprio #figlio durante il periodo di esecuzione della pena c’è una possibilità speciale: la detenzione domiciliare speciale presso gli istituti di custodia attenuata per le madri detenute, meglio conosciuti come ICAM.

A questa forma di detenzione domiciliare accedono appunto sopratutto #madri con figli di età inferiore a 10 anni, che devono scontare una pena (anche residua) superiore a 4 anni e che ne hanno già scontato ⅓ (o 15 anni in caso di ergastolo, cosa che sottolinea come questa possibilità alternativa alla detenzione in carcere sia accessibile anche per coloro che commettono reati gravi). La particolarità degli ICAM è quella di consistere in strutture detentive che non presentano però le tipiche caratteristiche del carcere: non si hanno celle ma piccoli #appartamenti dove le madri possono vivere con i loro figli, i dispositivi di sicurezza sono nascosti alla vista dei bambini, il personale carcerario è in borghese… 

La possibilità di scontare la pena negli ICAM permette a madri e figli di mantenere un rapporto durante il periodo di esecuzione della pena, vivendo una #vita quanto più possibile vicina alla normalità: durante il giorno, mentre i bambini sono a scuola, le madri svolgono delle attività all’interno della struttura. Nel pomeriggio invece ci si dedica al #gioco e alla condivisione, utilizzando le aree comuni e gli spazi fuori dotati di altalene, scivoli e altri giochi, che danno l’impressione ai bambini presente in struttura di trovarsi in un vero e proprio parco giochi. Si cerca dunque di creare un’atmosfera sempre più positiva e risocializzante per le detenute, impedendo allo stesso tempo che i bambini percepiscano la realtà carceraria nella quale vivono per poter stare insieme alle loro madri e preservare il loro legame familiare durante la detenzione.

Questi istituti, che hanno come obiettivo principale la tutela dei diritti dei minori e della genitorialità, in Italia sono pochi: arriviamo a 4 sedi. Hanno capienze diverse, il più grande si trova a Lauro, in provincia di Avellino, e dispone di 20 posti letto.

Oltre ad essere il più grande, si dà il caso che l’ICAM di Lauro sia anche l’unico istituto del genere presente nel Sud Italia.

Pare che il Governo abbia deciso da poco di chiuderlo.

Si tratta di una scelta ufficialmente del ministro Nordio (mai spiegata pubblicamente), che secondo alcune indiscrezioni vorrebbe convertire l’istituto in una REMS (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) o indirizzarne il personale verso altre sedi.

Attualmente le due detenute e le loro bambine si troverebbero presso due dei tre ICAM presenti nel Nord – rispettivamente a Milano, Torino e Venezia. Dove ad attenderle c’è un nuovo inizio, una nuova strada da percorrere, una nuova realtà da ricostruire faticosamente da zero.

Molti di noi sanno che cosa significa trovarsi spaesati e confusi in un posto nuovo che si dovrà imparare col tempo a chiamare “casa”.

Quando lasciamo il luogo che ha fatto da culla alla nostra vita per tanto tempo, è come se tutti i progressi fatti fino a quel momento venissero azzerati. Ci si trova a dover imparare a conoscere nuove strade e nuove persone, a fare nostro qualcosa che che ci è sconosciuto. Insomma, ad iniziare una nuova vita da capo.

Se tutto questo ci appare particolarmente difficile quando ci troviamo nel pieno possesso della nostra libertà, senza avere a che fare con vincoli di luogo o orario che pongono una limitazione a quello che possiamo diventare, potrà mai essere più semplice per coloro che stanno scontando una pena detentiva? 

Per non parlare delle bambine di queste detenute, “recluse” in un luogo senza dover scontare alcuna pena allo scopo di non vedere compromesso il loro rapporto con le madri, che dopo uno sforzo così grande come quello di abbandonare le mura domestiche e di riuscire a chiamare “casa” l’ICAM di Lauro, si trovano di nuovo in balia di una nuova realtà che dovranno potersi costruire lontane dal proprio luogo di origine. 

#Bambine innocenti finiscono per essere colpevoli di un sistema che dovrebbe prendersene cura come se fossero vittime. Chiudere l’ICAM di Lauro non significa solo cacciarle di casa, ma anche impedir loro di continuare ad intrattenere quelle amicizie con i compagni di scuola che, in una situazione come quella che vivono a causa della detenzione delle loro madri, assumono un significato ancora più prezioso, quasi salvifico. Le bambine inoltre frequentano i primi gradi della #scuola dell’obbligo, andando rispettivamente in seconda primaria e alla scuola dell’infanzia: sono gli anni in cui si sviluppa pian piano la capacità di stare con gli altri e di stringere dei legami. Un momento così delicato della loro vita viene così brutalmente interrotto.

Il ministro Nordio, con la sua decisione lede al loro diritto all’infanzia, all’istruzione e all’inclusione sociale, chiudendo gli occhi davanti alla difficoltà evidente che queste bambine riscontreranno nell’ambientarsi in un luogo che non conoscono, lontane dai parenti e dagli amici che nel tempo hanno faticosamente cercato di tenersi strette. 

Anche le detenute finiscono per pagare un prezzo ancora più caro per la loro detenzione, venendo leso con il loro trasferimento il principio della territorialità della pena, previsto dall’ordinamento penitenziario, che vorrebbe che i trasferimenti dei detenuti avvenissero in istituti prossimi alla residenza della loro famiglie. 

Ancora una volta si è favorito un sistema che non solo punisce anziché risocializzare il colpevole, ma che finisce per avere ripercussioni anche sulla vita degli innocenti.

E le sbarre delle celle non fanno che farsi sempre più spesse, anche per chi non dovrebbe trovarcisi dietro.

✍️ Benedetta Conti 

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