”Fischio il pregiudizio: l’arbitro non ha genere”
Non esistono le donne che fanno i mestieri da uomini e non esistono passioni che hanno un solo genere. Esistono i mestieri. Esistono le passioni. Ed esistono le passioni che sono anche mestieri.
Nella Giornata Internazionale della Donna, dunque, non vogliamo raccontarvi di qualcuno che fa qualcosa di solitamente maschile. Vogliamo raccontarvi come Laura Sberna, da arbitro, viva le sue emozioni sul campo e sia capace di mandare con il suo esempio un magnifico messaggio anche alle donne che sono appena diventate mamme. Dedizione e passione che, come noto, sono qualità del singolo e non di un sesso. Doti che possono portare a rompere muri che dobbiamo smettere di dare per scontato esistano.
“Essere un arbitro è un concentrato di emozioni. Dalla responsabilità all’adrenalina. Sai che ogni decisione presa può influenzare il destino di una partita. I dieci minuti prima della partita sono qualcosa che mi regalano ancora un brivido dopo tanti anni. Ogni volta”

Cosa fai in quei minuti?
“Sequenze normali e consolidate, in realtà. Faccio gli appelli negli spogliatoi e controllo che tutto sia in ordine: dai cartellini agli orologi passando per il fischietto o la monetina per il sorteggio. Mi assicuro anche che i lacci degli scarpini siano a posto. Sono meticolosa. In tutto questo, però, c’è sempre un attimo e un momento dove senti l’adrenalina che pulsa viva. Quando nel cuore senti quello che accadrà di lì a poco”
E le pressioni?
“Sempre tante. Le squadre, il pubblico, gli allenatori: tutti hanno aspettative sulla gara e te le fanno sentire. Non sempre e non per forza per condizionarti. Noi però sappiamo che tutte le nostre decisioni dovranno avvenire in un lasso di tempo brevissimo e gestendo questo tipo di pressione. Ci si allena ad essere sempre calmi e lucidi”

Poi, però, ci sarà spazio anche per la soddisfazione.
“Beh, certo. Mi colpisce sempre quando allenatori e calciatori che ho arbitrato vengono a salutarmi con gioia. Significa aver fatto bene il proprio lavoro. Apprezzo anche il dialogare in modo civile su visioni che possono essere differenti perché in campo, ovviamente, non sono sempre tutti d’accordo con me”
Come ti giudichi tra te e te dopo una partita?
“Mi chiedo se ho svolto il mio ruolo con il massimo grado di consapevolezza e attenzione. Questo mi lascia tranquilla anche quando le squadre o il pubblico hanno pensieri discordanti rispetto al mio”
Ci saranno stati anche momenti difficili.
“Sì, assolutamente. Più all’inizio della carriera. Capitava mi presentassi alle squadre e vedevo facce strane perchè ero donna. Mi è successo anche di cambiarmi negli sgabuzzini tra il materiale di allenamento per la mancanza di uno spogliatoio se quello dell’arbitro era già occupato da un collega maschio. Al tempo, comunque, i pregiudizi sulle donne arbitre erano tantissimi e diffusissimi. Negli anni sono cambiati questi sguardi”
Perché?
“Per tanti motivi. A livello personale ci ho messo tenacia e voglia. Ho studiato le partite, ho sgomitato e ho sempre dimostrato rispetto per tutti sia nello stile di arbitraggio sia nella preparazione alla partita. Che tu sia uomo o donna posso dire che autorevolezza e competenza portano, con il tempo, a ricevere indietro lo stesso rispetto”

Ti senti, per questo, un esempio per le nuove generazioni?
“Parto alla lontana: ricordo che quando avevo sedici anni la cosa più brutta che ricordo erano gli sguardi un po’ increduli degli adulti. Non dei giocatori, di solito molto più giovani, ma degli allenatori o di parte del pubblico. Erano straniti dal fatto di vedere me con questa responsabilità. A volte anche incuriositi ma con una sorta di curiosità negativa, figlia del pregiudizio. La soddisfazione è stata vedere cambiare quegli stessi sguardi più avanti…”
Come sono cambiati?
“Sono diventati di rispetto, appunto. E apprezzamento”
Un riscatto?
“No, più una sliding doors. A quel punto sono cambiate tante cose e oggi ho persone che esprimono la loro contentezza nell’avermi ad arbitrare. Magari sono gli stessi che mi avevano giudicato con più superficialità anni prima. Però non facciamo passare che ho fatto tutto da sola…”
In che senso?
“Nel senso che vedere delle donne arbitrare le partite del campionato di Serie A e delle competizioni UEFA ha cambiato la visione anche qui da noi. Pure in un contesto provinciale forse più tradizionale questa novità ha portato gli effetti positivi che si sperava avessero. Ha dato un segnale importante: a quel punto anche i massimi livelli stavano dicendo a tutto il mondo del calcio che quelle barriere non esistono. Che possono e devono essere abbattute. La competenza non ha genere e la determinazione fa la differenza. Spesso bisogna superare anche gli insulti e i pensieri opposti al tuo: questo ovviamente vale per qualsiasi arbitro”

Discriminazione palese?
“Sì mi è capitata. Tornando alla domanda se io mi senta un esempio posso dire che in questo, sì, mi sento pioniera avendo aperto una strada a giovani e donne con la mia stessa passione che stanno iniziando adesso o che sono in questo momento al culmine della loro carriera. Sono contenta che siamo arrivati a un punto dove talento e passione contano più del genere. L’ambiente del calcio deve mirare al massimo di equità per tutti”
Tu sei anche una mamma arbitro.
“Sì e ne sono molto orgogliosa. Sono diventata mamma ad aprile 2023 e a fine settembre 2023 sono tornata sui campi. Mi sono sentita estremamente fiera”
Perché?
“L’arbitraggio è una passione che, per quanto io ami tantissimo la mia bimba, mi mancava. È qualcosa che fa parte del mio modo di vivere e ha plasmato il mio carattere. Una componente essenziale di me, anche uno sfogo nei momenti più difficili. Una linfa vitale”
Anche una bella sfida per tornare così presto…
“Non è stato facile perché sono tornati a galla i pregiudizi. Chiaramente il corpo di una donna con la gravidanza si modifica e non è facile tornare fisicamente alle stesse condizioni del pre-gravidanza. Poi c’è anche l’aspetto psicologico che è delicato. Fortunatamente sono una persona che quando si mette in testa un obiettivo riesce quasi sempre a raggiungerlo”
Ti hanno dato per finita?
“Uff, certo. Il pregiudizio è stato proprio quello di considerare finita la carriera perché avevo una bambina. Dovevo smettere in automatico perché non ce l’ avrei fatta. Più sentivo queste voci più si alimentava in me la voglia di tornare. Volevo dimostrare che la testa fa la differenza e non volevo darla vinta a queste dicerie. Chiaramente i sacrifici sono stati tanti e sono tanti tuttora. Fisici ma anche a livello organizzativo. Però non ho mai avuto alcun dubbio”

Ed è arrivata anche la vicepresidenza della sezione AIA di Bolzano.
“Una gioia e una grande responsabilità. Ringrazio il presidente Angelo Liuzzi perché mi dimostra costantemente stima e fiducia. Per me significa trovare un futuro ancora più lungo per questa mia passione. Un amore che mi rappresenta e che è una parte importante della mia vita”
L’AIA è sempre impegnata molto nel reclutamento di giovani ragazze.
“Vero e ne sono contenta. Di mio io consiglio a tutte le ragazze di provare questa esperienza. Dimostrando che la passione per lo sport non ha genere. Il calcio ha bisogno di energia e determinazione”
Davvero mai un tentennamento?
“Mai. Ecco, qui forse essere donna fa la differenza”
Perché?
“Perché le donne che hanno vissuto sulla loro pelle i pregiudizi maturano una forza enorme per arrivare, poi, a sconfiggerli. Noi ce la facciamo. Sempre, non solo l’8 marzo”.
✍️ Alan Conti