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Mihra e Muzhda, dall’Iran curdo al volley a Bolzano: “La pallavolo è integrazione”

Mihra e Muzhda sono due pallavoliste curde emigrate dall’Iran. Arrivate a Crotone sono state mandate ad Oslo e poi a Bolzano. Qui la loro passione per la pallavolo le ha portate a conoscere la squadra Più Volley. Aprendo una storia di vera integrazione

di Alan Conti

Lo sport unisce i popoli e allenta i confini. Regala prospettive di vita altrimenti mai ipotizzabili. Tutto molto retorico ma non sempre vero. Ogni tanto, però, nelle pieghe di qualche palestra si annidano storie che riportano in tutta la loro forza il significato più profondo dello sport. In questo specifico caso il volley femminile.

DUE SORELLE UNITE DAL VOLLEY

Nella palestra della scuola Tambosi in via Claudia Augusta a Bolzano siamo andati ad incontrare Faramarzi Mihraban Jawhar Abdulrahman di 25 anni e Faramarzi Muzhda Jawhar Abdulrahman di 21 anni. Per comodità, lo comprenderete, le chiameremo solo Mihra e Muzhda. Proprio come fanno le loro compagne di squadra nella Più Volley di Bolzano. La loro è la storia di due sorelle curde cittadine iraniane che sono scappate dal loro Paese trovando approdi sicuri ma fragili: prima a Crotone, poi a Oslo in Norvegia e dopo nuovamente in Italia a Bolzano. Hanno lo status di rifugiate e, con la loro famiglia (mamma, papà e un fratello), sono state costrette negli ultimi anni a seguire gli ingarbugliati fili del Trattato di Dublino. Ora i genitori sono ospitati nella stanza dell’Hotel Chrys in via della Mendola mentre Mihra e Muzhda vivono nella Casa del Rifugiato in via Renon. Alla mattina si deve uscire presto dalla struttura per rientrare solo a sera. Nel mezzo lunghe giornate di vuoto ed è proprio qui che si inserisce l’altra protagonista di questa storia: la pallavolo.

TUTTI I GIORNI AL CAMPO SUL TALVERA

“In estate – racconta Dario Cecchetto, dirigente di Più Volley – utilizziamo alcuni campi all’aperto lungo le Passeggiate sul Talvera. Servono a mantenere un po’ di continuità di allenamento. Un pomeriggio vedo arrivare queste due ragazze e chiedono di poter giocare con noi. Tradizionalmente la nostra è una squadra inclusiva quindi le abbiamo accolte volentieri. Il giorno dopo erano ancora lì. Stessa richiesta. E avanti così per diversi giorni con una passione davvero fuori dal comune”. “La pallavolo – ci raccontano le ragazze – ci ha stregate da quasi dieci anni. La giocavamo in Iran poi anche in Norvegia ed infine qui a Bolzano. Appena arrivate, dopo il necessario per vivere, ci siamo messe alla ricerca di un posto dove si potesse giocare”. Non ci hanno nemmeno messo tanto a trovarlo. Incrociando le persone giuste al momento giusto.

UN TESSERAMENTO FATICOSO TRA LE PIEGHE DELLA BUROCRAZIA

“A quel punto – continua la presidente di Più Volley Cristina Montesani – le abbiamo invitate a seguirci pure negli allenamenti indoor con la volontà di farle diventare parte della squadra. Era doveroso cercare di premiare la loro abnegazione e un percorso di vita molto più duro delle ventenni che possiamo incontrare normalmente”. Facile a dirsi perché poi entra in gioco la burocrazia italiana. Anche nello sport. “Le ragazze avevano solo i documenti di identità da rifugiate ma erano prive di codice fiscale. La Federazione lo voleva come condizione e ci ha anche richiesto il codice delle atlete dalla federazione originaria. Quindi quella iraniana. Riuscire ad ottenere i codici fiscali è stato laborioso ma ci siamo riusciti. Andare a dialogare con l’Iran cercando collaborazione per due rifugiate dando troppi dettagli ci sembrava meno sicuro. Fortunatamente Fipav ha compreso la situazione e ci ha agevolato comunque nel tesseramento. Oggi giocano con la nostra prima squadra”.

La prima squadra di Più Volley

LO SPORT CHE AGEVOLA L’INTEGRAZIONE

Il codice fiscale arrivato grazie alla pallavolo, in realtà, è una chiave importante pure per il presente e il futuro delle ragazze. “Abbiamo dovuto attendere un periodo dove non potevamo lavorare – ci raccontano – ma adesso facciamo la parrucchiera e l’estetista e stiamo conquistando un po’ di stabilità. La pallavolo è stata, ancora una volta centrale in questo processo”. C’è poi l’aspetto più affascinante dello sport: l’integrazione più veloce ed agevole. “Non parliamo ancora tanto bene l’italiano ma stiamo facendo qualche progresso. Questa, però, non è una barriera con le campagne di squadra che ci chiedono della nostra storia, del nostro popolo e di quanto sta accadendo in Iran”. Di politica contemporanea in Iran, però, non vogliono parlare. “Meglio l’Italia e la pallavolo”. D’accordo allora si gioca meglio a volley in Italia o in Norvegia? “In entrambi i Paesi si gioca molto bene, difficile scegliere”. Risposta un po’ democristiana vista la differenza di risultati (anche recenti) dei movimenti ma buona per una risata. “Ma no, per noi entrare in campo ha un valore che va oltre la tecnica, il risultato o il gioco. È più di una partita. È vita. Cerchiamo di non perdere mai nemmeno un allenamento spostandoci con i mezzi pubblici ovunque sia necessario”.

PALLEGGIATRICE ED OPPOSTO

L’aspetto tecnico, però, sicuramente conta per coach Enzo Esposizione: “In campo sono una palleggiatrice e un opposto, due ruoli chiave nel sestetto. Due ragazze che hanno sempre grande voglia e grinta. L’aspetto su cui stiamo lavorando di più in queste settimane è quello dei fondamentali che vanno sempre affinati. Pulizia del tocco, precisione e potenza abbinata al controllo nelle schiacciate. Cresceranno”.

PIU’ VOLLEY, L’EXCELSIOR DELLA PALLAVOLO

Più Volley, comunque, conferma ancora una volta una spiccata sensibilità sociale che va ampiamente oltre l’aspetto sportivo. In questa squadra, tendenzialmente, tutte hanno una possibilità. Con le dovute proporzioni (e le differenze mediatiche che, anche a questi livelli, hanno calcio e pallavolo) possiamo considerarla l’Excelsior del volley. “È giusto così – conclude Cecchetto – perché qui creiamo prima di tutto delle persone e delle donne. Che in comune hanno una passione e la necessità di dover essere in gruppo o squadra per realizzarla. Concedere a tutti la libertà di provarci e inserire anche le ragazze altoatesine a contatto con storie del mondo così complicate le aiuta sicuramente a crescere come e quanto una vittoria. O una sconfitta. Mihra e Muzhda, poi, ci sono entrate nel cuore e fanno parte della nostra famiglia. Attenzione, con i loro pregi e difetti perché in campo e in società vengono giustamente trattate come tutte le altre. Senza privilegi o difficoltà in più”.

QUALE FUTURO?

La nota più amara di questa storia dolce, se vogliamo, è l’incertezza del finale. Non sempre, per loro, è stato possibile rimanere fisse in un luogo. Non c’è nemmeno ora questa certezza. “Per il nostro futuro speriamo di rimanere qui a Bolzano in una terra che ci ha accolto dandoci affetto ed opportunità”. Restare in Alto Adige, avere un lavoro dignitoso e giocare a pallavolo: a questo Natale non chiedono capricci.

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