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Cosa doveva fare Fatimi per salvarsi?

Il dovere dello Stato è garantire la sicurezza del popolo, non solo contro le aggressioni dall’esterno, ma anche contro la paura e il bisogno”. -Franklin D. Roosevelt

La storia di Fatimi Hayat, uccisa dal suo ex compagno sul ciglio della porta di casa, è la prova della drammatica mancanza di preparazione, tempestività e di consapevolezza da parte dello Stato davanti alla violenza di genere.

A Fatimi non si può recriminare nulla, il che già di per sé dovrebbe essere assurdo: da quando in qua ad una vittima innocente si può contestare di non essere stata sufficientemente attenta? Eppure tra coloro che si sono trovati a leggere la prima volta della sua tragica fine, so che c’è chi prima di arrivare al fondo dell’articolo ha avuto un pensiero, sempre lo stesso: perchè non ha denunciato?

A Fatimi questa inadempienza non può essere contestata e ciò che fa serrare i pugni e digrignare i denti dalla rabbia è proprio questo: Fatimi aveva denunciato il suo aggressore – che era stato suo aggressore già diverse volte in passato, tra violenze verbali e minacce. Fatimi si era completamente fidata della tutela che lo Stato dovrebbe sempre assicurare ai propri cittadini.  Fatimi aveva fatto ricorso al centro antiviolenza Telefono Donna grazie al quale, oltre a ricevere il sostegno e l’ascolto necessario, era riuscita a prendere coraggio per rivolgersi alle forze dell’ordine. Una segnalazione era arrivata anche dallo stesso centro antiviolenza, che aveva definito la situazione di Fatimi “ad alto rischio di femminicidio”: Fatimi era un codice rosso e il suo caso doveva essere trattato con la massima urgenza e attenzione.

Le dovute precauzioni dovevano essere tempestivamente adottate. Quelle stesse precauzioni che avrebbero permesso a Fatimi di dormire tranquilla la notte (cosa che non faceva più da diverso tempo, specialmente dopo aver visto l’ex compagno aspettarla con un coltello in mano) non sono state però mai prese: il tanto decantato braccialetto elettronico non è mai stato fatto indossare al carnefice “per problemi tecnici”, la custodia cautelare in carcere non è mai stata eseguita nei suoi confronti perché irreperibile (nonostante risiedesse regolarmente in Italia). 

Tra una inadempienza e l’altra, Fatimi è stata uccisa a coltellate davanti a casa sua. Il suo aggressore è stato rintracciato poche ore dopo a Roma, dove stava tentando di fuggire.

La domanda, quella che forse ogni lettore di notizie del genere dovrebbe porre a sè e alla comunità, sorge spontanea: che cosa devono fare le donne per ricevere tutela nei casi di violenza da parte di soggetti violenti e pericolosi? Se denunciare, affidarsi a figure professionali che possano sottolineare la gravità della situazione e vedere emessi dei provvedimenti giudiziari non è sufficiente, come ci si può sentire al sicuro?

Fatimi è vittima due volte: di chi l’ha uccisa e di chi avrebbe dovuto impedire che ciò accadesse. 

Storie come questa dovrebbero farci sentire privi di risposte, perchè a poco serve ora darsene una. Ciò che si può fare per onorare il ricordo di chi non c’è più e impedire che in futuro si debbano piangere altre vittime è porsi domande. Quelle scomode, quelle giuste, quelle che possono seriamente proteggere e salvare chi vede in pericolo la propria vita.

✍️ Benedetta Conti 

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