Acciaierie, sì Italia e Provincia possono non subire l’Europa
La Direttiva Bolkestein, approvata nel 2006 per liberalizzare i servizi nel mercato unico europeo, avrebbe dovuto abbattere barriere e favorire la concorrenza. In realtà, ha prodotto un mosaico di eccezioni, adattamenti e resistenze nazionali che ne hanno svuotato l’efficacia. È una norma che molti Stati membri hanno “recepito a metà”, piegandola agli interessi interni. Durante una ricerca condotta nel 2021 per il caso Ilva, emergeva chiaramente come la Bolkestein sia rimasta un’architettura incompiuta. In Francia, è stata formalmente recepita ma filtrata da vincoli amministrativi che impediscono l’ingresso di operatori stranieri in molti settori. La Spagna ha regionalizzato le competenze, rallentando il processo di apertura. La Germania l’ha applicata solo dove non intaccava le proprie corporazioni industriali e professionali. Austria e Belgio hanno costruito una rete di eccezioni locali che annulla di fatto il principio di concorrenza.
Solo Paesi Bassi e Svezia hanno vissuto un’applicazione “naturale”, perché avevano già liberalizzato in autonomia. Grecia e Portogallo, spinti dalla Troika, l’hanno implementata sotto costrizione per poi tornare a imporre vincoli “di protezione locale”. Il risultato è un’Europa frammentata: un mercato teoricamente unico, ma in pratica ancora dominato da barriere nazionali, burocratiche e corporative. Questo scenario pesa anche sull’Italia e in particolare su Bolzano, dove la Direttiva incrocia una questione ben più concreta: la sopravvivenza e il rilancio delle Acciaierie. L’Alto Adige vive una doppia tensione: da un lato la retorica europea della libera concorrenza, dall’altro la realtà di un tessuto industriale che necessita di protezione e visione strategica.
Formalmente, Bolzano non può “ignorare” la Bolkestein. Ma grazie allo statuto di autonomia speciale, può interpretarla. Le competenze locali su sviluppo economico, urbanistica e infrastrutture consentono di creare un quadro normativo coerente con le direttive europee ma orientato alla tutela dell’interesse territoriale e produttivo. In altre parole, si può “aggirare” la Bolkestein non violandola, ma reinterpretandola come strumento di difesa di un bene collettivo: l’industria.
La chiave è giuridica ma anche politica. Il governo può e deve intervenire. Primo, riconoscendo il sito siderurgico di Bolzano come impianto strategico nazionale, sulla scia di quanto già avvenuto per Taranto e Piombino. Secondo, notificando alla Commissione Europea una deroga ai sensi dell’articolo 346 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che consente eccezioni per motivi di sicurezza economica e industriale.
Questo meccanismo, già usato da Francia e Germania per proteggere i propri distretti tecnologici e militari, permetterebbe di sospendere alcune regole del mercato interno in nome dell’autonomia produttiva e della sicurezza energetica. È perfettamente legale, ma richiede una forte regia politica: Bolzano non può farlo da sola, ma con Roma può costruire un modello di equilibrio tra autonomia locale e strategia nazionale.
Le Acciaierie di Bolzano, con la loro storia di innovazione, lavoro e competenze, sono un simbolo della siderurgia alpina e di un’Europa industriale che non può vivere di turismo e rendite. Finché la Direttiva Bolkestein resterà una legge a geometria variabile, l’Europa continuerà a essere un mercato unico solo sulla carta.
Serve una scelta di campo: usare l’Europa come scudo per la produzione, non come alibi per la dismissione. Difendere Bolzano significa difendere un’idea moderna di sovranità industriale italiana, capace di muoversi dentro le regole europee con la stessa intelligenza strategica con cui Francia e Germania difendono i propri interessi. Perché l’Italia non è un Paese di camerieri: è, e deve restare, un Paese che forgia acciaio.
✍️ Marco Pugliese