Barre, Rap Sogni e Segreti in un Carcere Minorile
Kento: con Barre racconto il mio lavoro all’interno delle carceri minorili
Grazie a Francesca Fagnani quest’anno Sanremo ha dato voce ad alcuni dei ragazzi che stanno scontando la pena all’interno delle carceri minorili, ma il protagonista di questo articolo è da oltre 10 anni che si muove all’interno di questi istituti penitenziari, lavorando per far sì che i giovani carcerati possano usare la propria voce per raccontarsi.
Francesco Carlo, in arte Kento, lo fa con un linguaggio non convenzionale e più vicino a quello dei ragazzi: il rap. Rapper e scrittore di Reggio Calabria, inizia la carriera solista con l’album “Sacco o Vanzetti” (2009), in cui rivendica l’eredità del rap combattente degli anni ’90 e fa parte dei Kalafro, collettivo rap/reggae, il cui LP “Resistenza Sonora” (2011) è passato alla storia come il primo disco “prodotto dalla mafia”, proprio perché finanziato con i proventi dei beni confiscati ai boss. Ma è nel 2014 che Francesco si reca in Palestina per il progetto di collaborazione militante con artisti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, Hip Hop Smash The Wall ed è in quest’occasione che inaugura il proprio seguitissimo blog sulle pagine del Fatto Quotidiano, dove scrive di musica, cultura, attualità e politica.

Nel frattempo, inizia un lavoro di ricerca sul rapporto tra rap e poesia, che lo vede impegnato nella LIPS – Lega Italiana Poetry Slam ed inizia un percorso di docenza presso istituti penali minorili (Roma, Firenze, Bari, Torino), scuole e comunità di recupero dalle dipendenze, tenendo una serie di laboratori di scrittura e poesia dedicati in particolar modo ai ragazzi a rischio. Scrive diversi libri tra cui l’ultimo uscito nel 2021, BARRE – Rap, Sogni e Segreti in un Carcere Minorile, edito da minimum fax.
Nel 2022 collabora con l’associazione Antigone per la serie “Keep It Trill”, dedicata al ruolo della musica nel mondo della detenzione minorile in Italia e, sullo stesso tema, scrive e dirige la serie “Barre Aperte”, trasmessa in 8 puntate su Repubblica TV.
Ma è proprio attraverso la lettura di BARRE che la storia di Kento colpisce come un pugno nello stomaco. Un racconto schietto e senza filtri della realtà all’interno delle carceri minorili e delle storie dei ragazzi con cui lavora.

Come ti sei avvicinato al mondo del rap e a quello delle carceri minorili?
“Diciamo che negli anni ’90 ho avuto la fortuna di vivere l’epoca d’oro del rap in Italia: uscivano molti gruppi e artisti nuovi e sull’onda di questo entusiasmo mi ci sono avvicinato anche io. All’inizio con un approccio molto più “adolescenziale”, se così si può definire, basato sull’uso della parola e della rima, che ho scoperto poi essere un mix esplosivo. In quel periodo il rap era qualcosa di nuovo e portava con sé il fascino di sentirsi parte di questo progresso, di questa nuova realtà underground che si stava ritagliando sempre di più il suo spazio.
Per quanto riguarda i laboratori di scrittura rap è iniziato tutto circa una decina di anni fa: sono stato contattato dall’associazione Defence for Children e l’idea di poter lavorare con ragazzi a rischio all’interno degli istituti penitenziari minorili mi ha molto colpito, soprattutto per la possibilità che mi si presentava di poter prendere e allo stesso modo lasciare qualcosa a quei ragazzi. Anche perché il rap, molto spesso, nasce proprio all’interno delle carceri. Come i graffiti o l’hip hop, infatti anche questo genere musicale nasce da un concetto di illegalità, l’occupazione. Illegalità che consiste semplicemente nel rivendicare dei luoghi in cui poter sviluppare la propria arte”
Te la ricordi la prima volta in cui sei entrato in un carcere minorile?
A questa domanda Kento, in realtà, risponde già attraverso le parole del suo libro, BARRE, a pagina 69:
<<Quando, un bel po’ di tempo fa, varcai per la prima volta il muro di cinta il mio primo pensiero fu che l’IPM sarebbe un bel rifugio in caso di apocalisse zombie.>>
Ma aggiunge anche: ”L’impatto più forte ce l’hai uscendo: nel momento in cui tiri un respiro di sollievo, ti rendi conto che il carcere è fatto per essere “brutto”, per far scontare una pena e pensare che i ragazzi siano chiusi lì dentro è una sensazione molto forte da elaborare. Risulta subito lampante il duplice ruolo delle “sbarre”, ossia tenere i ragazzi lontani dal mondo reale e, allo stesso tempo, tenere il mondo reale lontano da loro. Il carcere è un mondo a sé, caratterizzato da regole assurde e ossessive. Ad oggi faccio davvero ancora molta fatica a capire e giustificare l’esistenza delle carceri minorili”
Com’è stato relazionarti con i ragazzi?
“Con loro l’impatto è stato naturale, sono comunque ragazzi alla fine” e poi fa riferimento a BARRE, pagina 13:
<<Mi scuote il rumore che solo un gruppo di adolescenti riesce a produrre. Sono una decina: buon numero. Ed è una cosa che mi fa enorme piacere, visto che la partecipazione al laboratorio è volontaria. […] Si siedono occupando le prime due file. Tatuaggi, cappellini, Jordan ai piedi, qualcuno azzarda un timido baffetto. Quanto all’aspetto e alle pose, sono già dei rapper provetti. Non c’è che dire. […] Un paio sembrano nient’altro che bimbetti con gli occhi grandi, altri danno l’illusione di essere uomini fatti, coi modi compassati e la voce profonda. Uno alla volta si alzano per salutarmi dandomi la mano. Scandiscono il loro nome guardandomi negli occhi, sperando che non me lo dimentichi.>>.
Proseguendo da questo punto, aggiunge: ”Mi hanno subito chiesto informazioni sulla mia musica, sulle mie views e di fargli sentire qualcosa di mio. Ricordo di aver tirato fuori una delle ultime strofe che avevo scritto e di averla cantata direttamente, senza aver fatto partire nessuna base. Il silenzio era davvero assoluto, sintomo che ai ragazzi la mia strofa probabilmente stesse piacendo. Quando è arrivato il loro turno, alcuni tra i più sicuri si son lanciati subito, stupendo i compagni di classe. Quelli più timidi sono stati incitati dagli altri. Nonostante alcuni non avessero fatto un figurone a livello tecnico, i compagni si sono complimentati e li hanno applauditi.
Il punto non è solo che tramite il rap questi ragazzi abbiano tirato fuori la loro fragilità, ma anche che il gruppo abbia poi apprezzato e condiviso, senza giudizio o prese in giro. L’unica cosa che faccio di solito è lasciargli godere questo momento di fiducia e autostima, concetti poi non così scontati all’interno delle carceri e un esempio sono sicuramente i ripetuti fenomeni di autolesionismo. Infatti, non sempre è garantita una sufficiente tutela psicologica dei ragazzi, così come nemmeno l’accessibilità agli psicofarmaci”
Tu che hai avuto modo di lavorare con così tanti ragazzi, quali credi siano le loro paure più grandi?
“Sono tante.
Ti posso però dire di aver trovato alcuni punti in comune tra molti di loro e spesso riguardano la scarcerazione e il reinserimento all’interno della società. Suona paradossale, ma bisogna pensare che il carcere per loro rappresenta il luogo in cui hanno vissuto per parecchio tempo e quindi la paura di uscire è legata al fatto che non possano sapere in anticipo quello che li aspetterà lì fuori, non conoscendo a fondo il mondo reale. In questo caso il percorso di reinserimento risulta uno step fondamentale” durante la chiacchierata non posso non far riferimento ad uno dei ragazzi di cui Kento parla all’interno di BARRE, ossia Sam, il rapper provetto. Attraverso la sua storia è risultato lampante ciò di cui Francesco parlava poco prima:
<<[…] E sì, la data di scarcerazione si avvicina, si sente già con un piede fuori. Ma per chi come lui è stato rinchiuso in carcere per buona parte della sua adolescenza, questa ansia positiva confina con una sensazione di terrore puro, di salto nel vuoto. A maggior ragione nel suo caso: la rap star di questo piccolo stagno sarà in grado di nuotare anche nel mare dei liberi? <<Guarda che puoi spaccare anche fuori>>, gli ho detto la settimana scorsa, <<ma ti devi impegnare e aprirti un po’. Se ti va di farlo, sono qui per aiutarti.>>. Ed è stata questa la chiave giusta. […] Posso fare qualcosa di utile per lui ma lui, più o meno inconsapevolmente, può fare qualcosa di molto utile per il gruppo: essere una fonte di ispirazione concreta, e più vicina ai ragazzi di quanto io potrò mai essere.>>.”
Ci sarebbero ancora tante cose da scrivere riguardo questo tema, ma preferiamo chiudere l’articolo lasciando la parola ad un altro dei protagonisti del libro di Kento, Hicham. O meglio, al rap di Hicham.
Tutto ciò che sono stato / non lo racconta il mio reato /
ma voglio lasciarlo nel passato / voglio uscire cambiato /
non puoi rinchiudere a chiave il mio futuro / oltre a Dio non lo conosce nessuno /
voglio scordarmi questa cella e questo muro / qui dentro non ci torno te lo giuro.