Vinted è davvero sostenibile?
I danni all’ambiente creati dal fast fashion – ovvero la moda dalla vita breve – sono noti. Le app di vendita dell’usato potrebbero rappresentare un’alternativa ecologica, ma….
Spendere il meno possibile per comprare molti pezzi di scarsa qualità, da buttare poi senza pensarci due volte al primo cambiamento della moda. Ecco cosa avrebbe prodotto il fast-fashion – ovvero la moda mordi e fuggi – da consumare e ricominciare, negli ultimi anni.
Ad un primo sguardo l’acquisto di seconda mano, core business di app come Vinted, potrebbe rappresentare una virtuosa inversione di tendenza, con i capi usati che vedrebbero la propria vita allungarsi ed il conseguente venire meno della necessità di acquistare un capo nuovo.
L’INDUSTRIA DELLA MODA INQUINA
I numeri dicono che l’industria della moda ha un grosso impatto di sostenibilità, pesa sull’inquinamento mondiale e genera più di 92.000 tonnellate annue di rifiuti l’anno. Dal 1975 al 2018, riporta Focus, la produzione pro-capite di capi di abbigliamento è più che raddoppiata, passando da 6 a 13 kg. In questi anni, inoltre, abbiamo assistito alla delocalizzazione delle produzioni, di norma trasferite in Paesi dove la tutela dei lavoratori è limitata, ed i costi anche.
La riscoperta di vestiti, scarpe e borse sepolti negli armati (il cosiddetto decluttering) e la loro vendita a utenti in tutto il modo potrebbe essere la risposta al consumo di moda “veloce”. Il business di sicuro interessa molti, dalle app dedicate al second hand come Vinted, fino al gigante dell’ecommerce Zalando, che ha inaugurato una apposita sezione del proprio portale circa due anni fa.
IL REPORT SULLA SOSTENIBILITA’ DI VINTED
Secondo il report di sostenibilità recentemente prodotto proprio da Vinted, per ogni acquisto di un capo usato sulla piattaforma si sarebbero risparmiati 1,8 kg di Co2, comprovando, come è scritto con una certa cautela nel comunicato stampa che “acquistare un articolo di seconda mano su Vinted può essere meno dannoso per il clima rispetto all’acquisto del nuovo “.
Si parla tanto di inquinamento in questa campagna elettorale, ma nessuno punta mai il dito contro il fast fashion che, dopo l’industria del petrolio, è quella più inquietante del pianeta. Esistono città in Asia composte solo da rifiuti tessili, discariche immense. 1/
— Il Signor Distruggere (@SirDistruggere) September 3, 2022
Anche se il 20% degli utenti Vinted sostiene che la propria motivazione di utilizzo dell’app sia da ricondurre proprio a ragioni di sostenibilità, non mancano gli scettici, che considerano potenzialmente parziali i numeri del report. Si sostiene infatti che taluni parametri potrebbero non venire del tutto considerati, dagli spostamenti del singolo per la spedizione ed il ritiro del pacco, l’imballaggio e la spedizione stessa, che può essere anche di migliaia di km, vista la portata internazionale della app. Soprattutto, tutto il ciclo può poi essere riprodotto un numero potenzialmente infinito di volte per ogni pezzo venduto, che passa di mano in mano con un valore di vendita – se non intrinseco – sempre inferiore. Senza, quindi, produrre vera ricchezza per nessuno.
CHE SOSTENIBILITA’ VOGLIAMO PER IL NOSTRO FUTURO?
D’altro canto, non appare così straordinario che una app di vendita, il cui motto è “Non lo indossi? Vendilo” punti molto alla proliferazione delle transazioni, pur con le sue conseguenze sull’ambiente. La mission dell’azienda, infatti, non è dichiaratamente sbilanciata verso l’ecologia. Appare inoltre necessario tenere in considerazione che qualsiasi attività umana, anche la più green, ha un impatto sull’ambiente.
Moda e sostenibilità: i CNMI Sustainable Fashion Awards. Ylenia Esther Yashar ci racconta nel suo articolo l'iniziativa svolta durante la #milanofashionweek e affronta il tema della moda sostenibile con alcuni dati e riflessioni.#modasostenibile #fastfashion #sostenibilità
— CSRnatives (@CSRnatives) September 27, 2022
A prescindere dal più e meno, la riflessione dovrebbe a questo punto forse farsi più olistica e comprendere altri argomenti, anch’essi etici, ma di più ampio respiro, proprio come dovrebbe essere percepito il macro-tema della sostenibilità. Dovremmo considerare, ad esempio, se l’incentivazione dell’acquisto d’impulso, legato spesso alla disponibilità, al costo basso della merce e alla possibilità di rivendere, sia un fenomeno positivo o negativo per la società. Se è davvero sostenibile comprare qualcosa di usato solo per rivenderlo subito dopo, se non avrebbe più senso riflettere e farsi guidare nella scelta dalla domanda “Mi serve davvero?”
La sostenibilità non ha un canone solo, il bilancio è formato da più voci ed aspettarsi che siano tutte in positivo è certamente illusorio. Ma misurare il progresso di una azienda o della società un solo criterio alla volta, come avviene oggi per l’ambientalismo, non rende giustizia alla sua complessità e frena una riflessione più profonda – e più impegnativa – su che tipo di mondo vogliamo e che persone ci impegniamo ad essere domani.