Covid, dagli immuni senza contatti una possibile svolta scientifica

BOLZANO. Esiste uno studio, pubblicato su Cell (lo trovate qui https://www.cell.com/cell/fulltext/S0092-8674(20)30610-3)  che pare aver dimostrato come alcune persone (mai esposte al virus) abbiano cellule “T helper” in grado di riconoscerlo e rispondere ad esso.

Si tratterebbe di cross-reattività, ovvero quando le cellule T helper che si sono sviluppate per un una tipologia di virus specifica, s’adattano a rispondere anche ad altri simili (e la famiglia dei coronavirus è numerosa). In questo caso sarebbe bastata l’esposizione ad un coronavirus causa di raffreddore.

Accade quindi che le cellule T helper cross-reattive potrebbero appunto dare una mano a creare una risposta immunitaria celere e forte.  Il team di studio (coordinato dal dottor Sette) ha esaminato il sistema immunitario di 20 persone che hanno contratto il coronavirus e si sono riprese, nonché campioni di sangue di 20 persone che erano stati raccolti tra il 2015 e il 2018. Con questa dichiarazione a Business Insider il team ha di fatto voluto dimostrare che una persona media produce una buona risposta immunitaria per un certo periodo di tempo.

Shane Crotty, un altro coautore dello studio, ha poi aggiunto (sempre a Business Insider) : “i tanti vaccini che le persone stanno cercando di produrre dovrebbero essere in grado di replicare l’immunità naturale”.

Il gruppo di pazienti affetti da Covid-19 coinvolti nella nuova ricerca, ha presentato solo due casi gravi; l’altro 90% ha avuto infezioni lievi o moderate. Con una stima di casi Covid-19 grave al 205, i test sono stati effettuati su pazienti “medi”, ovvero su membri del restante 80%. Lo studio infatti vuol anche dimostrare che la risposta immunitaria media è la chiave. Una scarsa risposta sarebbe un campanello d’allarme da non sottovalutare.

Riguardo il futuro?

“Ovviamente non possiamo dire con certezza cosa accadrà tra 15 anni perché il virus è in circolazione da pochi mesi. Quindi nessuno lo sa se questa risposta immunitaria sia di lunga durata o meno”, ha dichiarato Sette. Secondo lo scienziato però la risposta all’immunità sarà a largo spettro, perché l’infezione ha colpito con una certa gravità. Il nostro corpo tende a “ricordare”, quindi ad immunizzarsi, nei confronti d’eventi gravi (immagazzinati nella memoria del nostro corpo) più che di quelli lievi. Sarà quindi statisticamente più probabile prendere un raffreddore rispetto al Covid-19

Yuan Tian, scienziato del Fred Hutch Institute di Seattle, non coinvolto nella ricerca, ha dichiarato a Business Insider “sarebbe interessante studiare le persone con malattie gravi e confrontare la risposta delle loro cellule T con quella di chi ha avuto una malattia lieve. ”

Di fatto Tian ha anticipato il prossimo step della ricerca di Sette, che unita ai dati ricavati dal tamponamento a tappeto preso Vo’ ad opera di Andrea Crisanti, portano la guerra al Covid-19 in una dimensione nuova. Del resto, come il sano giornalismo scientifico ha più volte sottolineato durante la pandemia, le soluzioni e gli approcci sarebbero arrivati dopo mesi di raccolta dati sulle curve statistiche. Ora siamo alla conclusione di un ciclo del virus (almeno in Italia) e disponiamo di dati che ne mappano apogeo e fisiologica implosione.

Il contagio matematicamente può essere spiegato con quest’approccio di tipo, come già avevamo spiegato qui https://www.bznews24.it/cronaca/covid-per-capire-il-contagio-serve-la-teoria-della-complessita/ .

Ora volgiamo lo sguardo ai mesi estivi, studiando nel dettaglio i dati sempre più precisi che ci arrivano dai mesi passati, un sistema d’analisi che ci consentirà d’ attrezzarci per qualsiasi scenario, negativo o positivo che sia.

Marco Pugliese

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