Aprire un bar durante il lockdown: “Vi racconto paura e riscatto del Cafè Milano a Bolzano

Milano1BOLZANO. Café Milano è un bar di via Milano a Bolzano che ha fatto appena in tempo a godersi l’inaugurazione del locale per essere poi costretto ad abbassare la serranda a causa del Covid19. Abbiamo parlato con Vladyslav Pereverzyev, il figlio dei proprietari Pietro ed Elena Pereverzyev, per farci raccontare quali siano le difficoltà di avviare un’attività, senza avere alcuna entrata per più di due mesi e dovendo nel frattempo sopravvivere.

Raccontaci la vostra storia, chi siete e che cos’è il Café Milano?
Siamo una famiglia di lavoratori che viene dall’Ucraina. Abbiamo sempre lavorato sodo, anche perché in casa c’è sempre stato bisogno e perché è lo spirito che mi hanno insegnato i miei genitori. Mio padre, Pietro, è arrivato nel 2000 a Bolzano, prima lavorava nel settore alberghiero a Napoli. In Alto Adige ha subito trovato lavoro all’Hotel Alpi, prima come facchino poi al servizio caffetteria per le colazioni. Passava all’albergo praticamente tutti i giorni, compresi festivi, sabati e domeniche, con un solo giorno libero a settimana. Io, quindi, sono cresciuto un po’ da solo, lavorava sempre e in famiglia mancava tanto. Sono cresciuto soprattutto con mia madre Elena. Dopo dieci anni mio padre ha deciso di licenziarsi: voleva aprire un’attività propria. Così nel 2016 abbiamo aperto una pizzeria a Laives, partendo praticamente dal nulla. All’inizio avevamo avuto molto successo, poi però gestire i molti dipendenti e la concorrenza non è stato facile. Ha iniziato a pesarci a livello economico e familiare così abbiamo deciso di chiudere prima di fallire. Siamo ripartiti con il bar che è a conduzione familiare e quindi un po’ più contenuto. Speriamo che diventi un punto di ritrovo per tutta la via Milano.

Siete legati al quartiere e alle sue persone?
Sì molto, abitiamo nella zona da più di 12 anni e conosciamo quasi tutti, anche perché mio padre è una persona molto socievole e amichevole. Le persone ci vengono a trovare volentieri e anche per i nostri amici è più facile raggiungerci a Bolzano, piuttosto che a Laives.

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Foto Davide Perri 

A metà febbraio all’inaugurazione del Café Milano è stato presente anche il Sindaco Renzo Caramaschi…
Lo ha invitato un amico di mio padre, non immaginavamo che sarebbe venuto e invece è stata una presenza davvero piacevole. L’inizio, anche grazie all’inaugurazione, è stato buonissimo, non ce lo aspettavamo. Molti vecchi clienti dell’ex Bar Ennesimo sono passati a noi, rimanendo fedeli alle vecchie abitudini, mentre alcuni clienti della pizzeria ci raggiungono anche qua. Purtroppo poi è arrivato il lockdown e abbiamo dovuto chiudere, dallo Stato sono arrivate solo tante promesse ma, per ora, i soldi non si sono visti.

Come vi dividete i compiti al bar?
A dir la verità siamo tutti baristi (ride ndr). Il locale è molto piccolo e quindi bisogna aiutare facendo ciò di cui c’è bisogno. La figura principale è quella di mio padre che passa al bar più tempo di tutti. Io sono un odontotecnico, lavoro da un’altra parte, e quando finisco vengo a dare una mano. È un lavoro che mi piace molto, è la mia passione e provo a fare la mia strada, ma cercando sempre di aiutare i miei genitori. Al bar cerco di fare quello che posso. Mia mamma, invece, passa più tempo a casa: si occupa delle faccende domestiche, cucina, aiuta mio fratello a fare i compiti, lo accompagna a scuola. Avere il bar vicino casa, però, è una fortuna perché se c’è bisogno basta scendere e si può dare una mano. Siamo una famiglia avvezza ai sacrifici.

Non avete avuto nemmeno il tempo di partire che siete stati costretti a chiudere…
Purtroppo sì, ma abbiamo sfruttato quest’occasione per fare qualche piccolo lavoretto nel locale. Abbiamo fatto un restyling completo, mettendo un po’ a posto e ripitturando.

Come avete reagito alla notizia di dover chiudere. Quali erano le preoccupazioni?
La preoccupazione principale era il fattore economico, anche perché in famiglia ero l’unica persona che lavorava. Con il lockdown sono finito in cassa integrazione, i soldi che avevamo da parte però sono bastati per il periodo e per mantenere la famiglia. Dalla cassa integrazione non abbiamo ricevuto ancora niente, né io, né i miei genitori. Ora con la riapertura cerchiamo di riprenderci e di tirare avanti. La reazione alla notizia è stata molto negativa perché, in Italia, non ci si aspettava una cosa del genere. Il virus è stato molto sottovalutato




Cosa vuol dire per un imprenditore prendere in gestione un bar ed essere subito costretti a chiudere?
È una bella botta. Chiaramente se si fosse potuta prevedere una cosa del genere, non avremmo investito del denaro, non era il momento giusto.

Milano 4Cosa significa fare un investimento iniziale e poi avere due-tre mesi di costi scoperti senza incassare nemmeno un euro?
Significa partire già con il piede sbagliato. Avevamo pensato anche ad un servizio takeaway per il periodo della quarantena ma abbiamo lasciato stare. Non abbiamo una grande clientela online e non abbiamo fatto nessun lavoro a livello di web marketing, sarebbe stato inutile. In questo periodo però ci siamo dedicati anche all’online per farci trovare in maniera più facile su Internet, sperando che frutti qualcosa per il futuro e porti una nuova clientela.

Come avete vissuto la quarantena?
In casa. È stata dura perché viviamo in quattro in 60 metri quadri senza giardino e con un piccolo balcone. Come detto, però, abbiamo comunque investito il nostro tempo. Per mio padre è stata anche una bella occasione, dopo 14 anni di lavoro costante e senza fermarsi mai, per dedicare un po’ di tempo alla sua famiglia. A livello emotivo è stata comunque tosta.

A livello economico quanto ha pesato il lockdown?
Ci sono state delle grandissime perdite. L’affitto del locale non ce lo hanno fermato e i fornitori da cui abbiamo preso tutti i prodotti che ci servivano per l’inaugurazione e l’inizio dell’attività sono ancora da pagare.

Come ha reagito la clientela alla chiusura?
Questa è una bella domanda perché è difficile saperlo, ma ci hanno scritto in parecchi. Amici dei miei genitori che magari ci chiedevano come stavamo a livello economico, se c’erano degli aiuti, se qualcuno ci stava dando una mano. Ma bene o male c’era il mio stipendio e quindi cercavamo di essere sempre positivi, non cercavamo l’elemosina da nessuno. Abbiamo puntato solo a sopravvivere perché comunque era una situazione uguale per tutti. Chi meglio e chi peggio ma l’abbiamo passata abbastanza bene. Cibo ne avevamo, questo è l’importante. Ora dobbiamo recuperare gli affitti di casa, del locale, le spese di luce, gas e internet, ma è tutto fattibile. Con un piccolo prestito, stiamo provando ad ottenerlo a fondo perduto, riusciremo a coprire queste spese.

E come ha reagito la clientela alla riapertura?
La riapertura è stata tosta perché la prima settimana molti avevano paura ad entrare nel locale, soprattutto le donne. Prima venivano anche tante signore a fare colazione, adesso invece passano, ci salutano ma hanno paura ad entrare. I “coraggiosi” bevono una birra, un caffè o uno Spritz ma comunque non rimangono per tanto tempo, anche perché non hanno nessuno con cui parlare. Non hanno compagnia e il bar è un luogo di compagnia, soprattutto il nostro. Clienti singoli qua è raro vederne, è sempre stato un bar di gruppi di persone.

Paura di cosa?
Hanno paura di poter prendere il virus. Comunque ci proteggiamo con i guanti, le mascherine e il plexiglass, anche se trovarlo è stato difficile. Nonostante le soluzioni di prevenzione, la gente ha ancora paura. La regola dei due metri comunque la rispettano tutti e forse, al momento, è meglio così.




Ora, invece, com’è il movimento al bar?
Ogni tanto vengono piccoli gruppi di 2-3 persone a cui cerchiamo di far mantenere le distanze ma è anche difficile in un bar di 80 metri quadri. Ogni tanto mia madre sta al bancone e mio padre organizza le posizioni delle persone per farle sedere. Con queste condizioni tiriamo avanti.

Com’è gestire un bar mantenendo le persone a una distanza sia fisica che emotiva?
Non è più come prima. L’Italia è un Paese dove c’è la cultura di andare al bar e al ristorante e la gente ci va per il contatto. Abbiamo bisogno dei contatti…

Come vi state adattando alla soluzione?
Usiamo mascherine e guanti regolarmente, abbiamo messo: il gel all’ingresso, i cartelli per invitare le persone a mantenere le distanze e abbiamo separato tavoli e sedie, come ci è stato detto da parte della Provincia. Cerchiamo di mantenere le regole e di farle rispettare per il bene di tutti. Non riusciamo più però a fare i numeri di febbraio, il mese dell’apertura. In quel caso eravamo riusciti ad avere delle entrate superiori rispetto alla vecchia gestione e ora non arriviamo nemmeno al 20% delle somme.

Cosa avete provato quando avete saputo che potevate riaprire.
Eravamo felici ma anche preoccupati perché comunque era una situazione molto delicata. Siamo stati una delle prime regioni a riaprire, non sapevamo bene come comportarci e se avesse avuto senso ma avevamo assolutamente bisogno di una ripartenza, quindi siamo contenti di aver riaperto. Abbiamo anche allungato i nostri orari, la vecchia gestione teneva aperto fino alle 19.00, noi cerchiamo di stare aperti un po’ di più, fino alle 22.00, per riuscire a coprire un po’ le spese che si sono accumulate nel tempo e allargare la clientela del locale a più fasce d’età. Al momento la sera non c’è tanta gente in giro ma ci proviamo comunque, sperando che in futuro questa cosa frutti. È un periodo difficile, si cerca di combattere e di tirare avanti, senza guardarsi indietro.

Stefano Rossi

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