Marco “Zelda”, rapper bolzanino: “La musica mi ha aiutato e ora so che il rap può essere musicoterapia”
E’ qualcosa più della rinuncia al posto fisso e di uno sguardo diverso su mondo liquido che abbiamo intorno. Qualcosa di più e qualcosa di diverso.
Il mondo attuale crea lavoro per i giovani o sono i giovani che si prendono con le unghie e i denti il lavoro nel mondo attuale? Probabilmente entrambe le cose. Anche qui liquide.
Abbiamo deciso di raccontare i ragazzi che lavorano gettando spesso il cuore oltre all’ostacolo delle passioni.
Abbiamo deciso di farlo lasciando parlare loro intervistati dalla nostra Alice Ravagnani che è lei stessa giovane e decisa ad arpionarsi il futuro che vuole.
Ce li racconta raccontandosi.
Oggi parola a Marco.
Marco Picone, classe ’92, rapper e studente di musicoterapia bolzanino, si è diplomato all’indirizzo sociale delle Ipsct De Medici e ha poi frequentato il corso triennale di musicoterapia del CESFOR. Essendo Marco il primo aspirante musicoterapeuta in Alto Adige ad usare il rap come fulcro delle sue terapie, abbiamo deciso di approfondire insieme a lui questo aspetto del suo mestiere.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere la strada del rap come strumento di musicoterapia?
“Sicuramente l’amore che sin da piccolo nutro in generale per la musica e che ogni giorno mi fa svegliare impaziente di iniziare a lavorare. Ma non è tutto: anche la mia storia personale ha avuto il suo peso. Da piccolo la balbuzie mi ha causato parecchi disagi legati soprattutto agli atti di bullismo che alcuni miei compagni si sentivano in diritto di indirizzarmi. Non è stato un bel periodo. Ho provato molta sofferenza e solo dopo parecchio tempo sono riuscito a rimettermi in carreggiata e vorrei poter contribuire per far sì che nessuno subisca quello che ho vissuto io, o che arrivi a sentire di valere meno per questi difetti di pronuncia. Il rap per me ha fatto tanto in questo senso e ho capito che forse il mio scopo fosse quello di aiutare gli altri proprio attraverso la musica. Anche perché non credo che sarei in grado di fare altro e, quando ci ho provato, la mia mente tornava sempre là. Una menzione speciale vorrei anche dedicarla al mio maestro Sergio Caruso con cui ho studiato pianoforte alla scuola Roland di Melito. Sergio ha creduto in me sin da subito e mi ha stimolato a dare sempre il massimo. Credo di poter affermare che sia stato proprio lui a trasmettermi l’amore per la musica e lo ringrazierò sempre per questo. Per quanto riguarda il rap l’ho “studiato” andando ai live e ascoltando dischi. Ho iniziato con il freestyle e poi però mi sono concentrato di più sulla scrittura che mi ha portato a fare un disco”
Il corso di musicoterapia e la tua carriera nel rap si sono incastrati sin da subito o hai avuto delle difficoltà?
“Subito dopo le superiori ho iniziato il corso di musicoterapia al CESFOR. Ho frequentato per due anni e mezzo poi ho avuto un crollo. Non c’ero proprio con la testa e quindi ho deciso di prendermi una pausa dal percorso che avevo scelto per dedicarmi ad altro. Un po’ me ne pento, perché forse a posteriori avrei potuto sforzarmi, ma alla fine forse non era il momento giusto; in quel periodo avevo in testa il rap e il tour che ero riuscito ad organizzare. Dopo un paio d’anni sono ritornato e ho capito che fosse davvero quella la mia strada. A settembre avrò un’ulteriore abilitazione che mi permetterà di lavorare nei reparti pediatrici degli ospedali e non vedo l’ora. Questo rappresenta un punto molto delicato per me: avendoci passato parecchio tempo a causa dei miei problemi al cuore, so quanto questo luogo possa pesare alle famiglie e ai bambini. A voler essere ancora più sincero, il mio obiettivo finale è riuscire a lavorare con le persone che sono in uno stato di coma, ma per quello non penso di essere ancora pronto. Al momento sto lavorando alle scuole Alfieri, dove il focus del mio lavoro è incentrato su più fattori accomunati comunque dalla necessità di sviluppare l’autostima dei ragazzi attraverso la scrittura rap e dello storytelling. Ho la fortuna di avere a che fare con un’equipe che crede fortemente in me e nei miei progetti e questo mi dà molta carica, oltre ovviamente ai ragazzi con cui lavoro che rappresentano un continuo stimolo per migliorarmi”
Quando parli di “migliorarti”, intendi dire che stai facendo anche un lavoro su te stesso per svolgere al meglio questo mestiere?
“Assolutamente sì e credo sia fondamentale. Non è facile avere a che fare con bambini e ragazzi che hanno delle problematiche, sia tecnicamente che emotivamente. Da questo punto di vista infatti credo che la mia sensibilità rappresenti un punto di forza perché mi aiuta ad entrare in empatia meglio con i ragazzi. Allo stesso tempo, però, mi risulta difficile non lasciarmi coinvolgere da determinate situazioni e in questo senso posso dire di star molto lavorando su me stesso per riuscire a mantenere una distanza, sia per il bene dei ragazzi, sia per il mio. Paradossalmente ciò che all’inizio sembrava un difetto, ovvero la mia balbuzie, si è rivelato poi una grande risorsa: ha fatto sì che le persone con cui mi interfacciassi si sentissero più tranquille e, in un certo senso, più vicine a me. Detto questo, sono comunque fortemente convinto che l’unica cosa che mi aiuterà davvero sarà il fare tanta esperienza sul campo e il mettermi sempre in gioco, cercando di trovare nuove tecniche e adattarle alle molteplici situazioni che mi si presenteranno. Studio tanto i casi dei ragazzi con cui lavoro e mi confronto con regolarità con il mio team. È un lavoro continuo”
Nutri qualche speranza o paura particolare riguardo al futuro e alla tua professione nello specifico?
“Molte. Sia speranze che paure. La speranza più grande è che il mio modo di lavorare con il rap venga a tutti gli effetti riconosciuto anche fuori da Bolzano e di riuscire, entro cinque anni, ad aprire un mio studio di musicoterapia. Paura ne ho ogni giorno, ma è un tipo di paura che stimola ad arrivare a fare un resoconto a fine giornata per fare il punto della situazione e restare con i piedi per terra. Prima di addormentarmi la domanda che mi pongo è: “cosa ho fatto oggi per rendere la vita di qualcuno meno difficile?”. Forse, però, la paura più grande è quella di sbagliare troppo e perdere credibilità, anche se in generale cerco di non farmi troppe paranoie perché sennò finisco per vivere con l’ansia e non mi va. La mia vita voglio che sia questa per la quale sto lottando e non voglio rinunciarci. La musica mi ha salvato la vita e quindi so che è questa la strada giusta per me. Ci sarebbe anche un’altra speranza in realtà, per la quale sarei disposto a scendere davvero a grandi compromessi per farcela…”
Non vorrai mica lasciarci con questa suspense, vero?
“Quasi quasi…No dai, ve lo dico. Vorrei organizzare uno dei miei laboratori nella mia vecchia scuola media a Napoli, dove tutto ha avuto inizio. Sarebbe proprio come “chiudere il cerchio”. Non so neanche se ce la farei, a dire il vero, perché quella scuola smuove una parte di me molto forte legata a momenti di grande sofferenza, ma allo stesso tempo rappresenterebbe anche un’opportunità enorme e sarebbe il coronamento di tutto l’impegno e la dedizione che ho investito in questi anni. Non avrei paura di riaffrontare quel dolore perché so che sarebbe per qualcosa di più grande e utile e quindi ne varrebbe la pena. Ognuno viene al mondo con uno scopo e il mio è quello di aiutare gli altri attraverso il rap.”