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“Parliamo più di morte, anche nelle scuole”

La morte e il rapporto che abbiamo con essa è al centro della conferenza gratuita che la filosofa e consulente pedagogica Laura Campanello terrà venerdì alle 18.30 a Bolzano. L’organizzazione è dell’associazione Il Papavero Der Mohn e il tema è profondissimo quanto necessario

di Alan Conti

“Bisognerebbe parlare della morte nelle scuole”. Va dritta al punto la dottoressa Laura Campanello, filosofa specializzata in consulenze pedagogiche e cure palliative che venerdì alle 18.30 terrà un dialogo aperto al pubblico organizzato dall’associazione Il Papavero Der Mohn. L’incontro sarà naturalmente gratuito (aula C 2.01 dell’edificio di piazza Università) e si pone un obiettivo non da poco: dialogare insieme di morte. O meglio: della spiritualità del vivere e del morire che, in quanto tale, prevede anche la fine della vita nel suo7 orizzonte di pensiero. L’introduzione sarà affidata al primario dell’hospice cure palliative dell’ospedale San Maurizio di Bolzano Massimo Bernardo. L’abbiamo raggiunta al telefono per una prima chiacchierata.

La locandina dell’incontro di venerdì

Professoressa, non sarà una scuola ma un’università: cambia tanto?

“Può essere certamente un buon primo passo. Il senso è iniziare tutti insieme un percorso di ripensamento della morte incastrata come la abbiamo dentro un tabù lessicale, emotivo e di pensiero. Dobbiamo iniziare a considerare pienamente la fine della vita come un pensiero dentro la vita. Oggi diventa un tema per noi solo quando la morte si realizza o quando si avvicina. Per quelli che rimangono quando moriamo noi o per l’elaborazione di un lutto quando il decesso è di qualcuno vicino a noi. Comunque sempre un tempo tardivo”

Per quello dovremmo parlarne ai bambini?

“Sì, se oggi la proposta di inserire delle ore di educazione alla morte nelle scuole suona come provocazione è proprio perché il tabù in cui è imprigionata è fortissimo. Eppure, fermandosi ad approfondire, che male ci sarebbe a parlarne a qualsiasi età? Libererebbe lo spazio per pensare ciò che spesso resta impensato o pensiero muto”

Che i bimbi possono impressionarsi…

“A maggior ragione per questo andrebbe fatto con professionisti della pedagogia che possano pesare la crudezza delle parole o dei concetti tarandoli alle necessità educative. Inutile girarci attorno: oggi lo sa anche lei cosa succede?”

Cosa?

“Che i bambini le domande le fanno lo stesso e le pongono il più delle volte ai genitori. Madri e padri che spesso vanno in difficoltà e non sanno cosa rispondere perché avvertono la domanda come pericolosa e anche loro non hanno luoghi in cui prepararsi. E’ il segnale di un pensiero che è impreparato. Entrare nelle scuole sminerebbe questo campo di incertezza. Significherebbe affrontare un quesito che è inevitabile perché la fine della vita è una domanda che riguarda tutti, e anche i bambini lo sanno”

Laura Campanello

Come si dovrebbe rispondere, allora, alle domande dei bambini?

“Dipende dal contesto, chiaro. Guardi, però, che non c’è nulla di male a dire anche ai più piccoli che ci sono cose che non capiamo, che ci spaventano e che accadono lo stesso”

Mettiamola così: cosa dovremmo fare come piccolo primo passo per aiutare questo cambiamento culturale?

“Già venire all’incontro di venerdì può essere un primo passo. Vale per le famiglie e per tutte le età. Un luogo dove si parla anche di morte in un modo franco ma protetto. Che poi parlare di morte significa parlare di vita e tutto questo processo va letto con questa lente”

Laura Campanello parla del tema della morte

Non è un controsenso?

“No. La consapevolezza piena della morte può determinare un diverso atteggiamento verso la vita. E questa è anche spiritualità. Pensiamo, per esempio, a come potrebbe cambiare l’organizzazione del proprio tempo se fossimo più consapevoli che la nostra vita non è illimitata. O delle proprie priorità. Non è un elemento secondario, macabro o lugubre. E’ un qualcosa che semplicemente c’è e che è parte e funzione della vita stessa. La filosofia (insieme alle religioni e alle varie vie sapienziali) pone queste domande da millenni eppure ancora fatichiamo ad accettare semplicemente di accettare di dover prima o poi rispondere”

Il Covid ha portato un periodo di dramma assoluto ma, in questo, c’è anche stata netta la presa di coscienza che la morte potesse essere più vicina di quello che siamo portati ad accettare. E’ servito in qualche modo a maturare una coscienza diversa?

“Certamente molti individui hanno vissuto una nuova consapevolezza di questo. Perché è accaduto a qualcuno vicino o perché vissuto purtroppo direttamente. La singolarità, se vogliamo, è che questa volta questo avvicinamento della morte lo ha vissuto interamente la comunità nello stesso momento. Quanto questo abbia poi portato ad una rielaborazione complessiva non so ancora dirglielo”

Facciamo un po’ di autocritica: parliamo di comunicazione e media.

“Hanno un ruolo fondamentale in tutto questo”

I nuovi media, dai social network in giù, hanno portato anche nel mainstream ad un progressivo uso più crudo della morte. Cadaveri in prima pagina e dettagli che una volta non si sarebbero mai visti. Questo, pur con tutte le proporzioni, aiuta a scalfire il tabù?

“La sovraesposizione della recrudescenza non credo abbia benefici. Quello che provoca, anzi, è una certa assuefazione e anestesia. La prima domanda che si dovrebbe porre il mondo mediatico è come e quando decide di parlare della morte. Il più delle volte è un qualcosa di improvviso, tragico o orribile. E’ difficile che esistano notizie della stessa portata per una morte serena. Questo non aiuta a dare una dimensione della morte che è sì potenzialmente improvvisa e imprevedibile ma l’esito di una parabola normale di tutti”

Un’intervista della presidente de Il Papavero Der Mohn Mara Zussa

Nei pezzi di cronaca nera le vittime “spirano”, “ci lasciano”, “vengono a mancare” o “perdono la vita”. Non c’è mai quasi nessuno che “è morto”.

“Anche nel linguaggio giornalistico – e non solo – subentrano delle perifrasi che ammorbidiscono il tabù. In parte è quello che vuole la società che legge e in parte è una forma di autolimitazione di chi scrive”

Bisognerebbe essere più crudi?

“No, attenzione. Parlare di morte non significa essere crudi ma farlo sempre più nel contesto e nei modi adeguati. Essere troppo secchi rischia di rafforzare semplicemente la resistenza del tabù rendendo qualsiasi discorso respingente. Guardi, io e lei in questa intervista abbiamo utilizzato il termine morte più volte di quanto facciano alcune persone nella loro intera vita. Quella è la forza della resistenza. E’ un tema dove entrare con le giuste chiavi per renderlo più accessibile alla società. Senza sbattere le porte. Non è facile ma i primi passi bisogna iniziare a farli prima possibile. A cominciare da venerdì”.

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