Bar Moskito chiuso 30 giorni, il barista: “Ingiustizia”, la questura: “Grave pericolo”
La chiusura per trenta giorni del Bar Moskito di via Cappuccini a Bolzano, disposta ieri dal questore Giuseppe Ferrari ai sensi dell’articolo 100 del TULPS, riaccende i riflettori sulla situazione del quartiere e sul ruolo dei locali pubblici in una delle zone più delicate della città. Se da un lato la Questura descrive un quadro di episodi gravi, ripetuti e tali da costituire un concreto pericolo per la sicurezza pubblica ascrivibile ad avventori del locale, dall’altro il barista figlio della titolare, Maicol Milani, parla apertamente di una “ingiustizia” e di un provvedimento che non colpisce le reali cause del degrado.

Milani: “Paghiamo per ciò che accade fuori, non dentro. Molte sera mia madre chiama la polizia”
Nel contattare BZ News 24, Milani racconta la sua amarezza. Il bar è chiuso dall’altra sera, dopo la notifica ufficiale della sospensione della licenza. Una chiusura di 30 giorni che, spiega, “si abbatte su chi prova a lavorare in un contesto difficilissimo”. «Mi sembra di vivere un’ingiustizia. In questa strada ci sono esercizi commerciali che vendono alcolici a prezzi ridicolmente bassi e che alimentano ubriachezza molesta e degrado. Su queste situazioni non si interviene, ma il mio locale viene chiuso per un episodio avvenuto fuori dal bar, come riconosciuto anche dalla Questura stessa». Secondo il racconto del titolare, la dinamica della notte tra l’11 e il 12 novembre sarebbe stata chiara: «Un ragazzo completamente ubriaco, con molti precedenti, si è piazzato al nostro bancone e non voleva andarsene. Poco dopo altri tre stranieri lo hanno trascinato fuori e lo hanno picchiato duramente e rapinato. Il tutto all’esterno, sulla strada pubblica. C’era un consigliere comunale presente, che ha testimoniato esattamente quello che è successo, ma non c’è stato nulla da fare: la chiusura è arrivata lo stesso».
Milani insiste su un punto: la collaborazione sua e della madre, titolare dell’esercizio, con le forze dell’ordine (che però nel verbale di chiusura viene negata dalla questura che, per l’episodio dell’altra sera riporta un“contatto ricevuto da personale dell’Esercito intervenuto). “Mia madre chiama spesso la polizia” ribatte Milani. “Lo fa con grande frequenza. Qui arrivano persone alterate dopo aver bevuto altrove (e sappiamo tutti a che altrove mi riferisco sulla strada). Entrano nei bar e creano disordine ovunque. Ma alla fine l’unico esercizio chiuso è il nostro, mentre i negozi che vendono birra a pochi centesimi restano serenamente aperti». Sul possibile ricorso contro il provvedimento, il titolare preferisce non sbilanciarsi: «A volte conviene economicamente tenere chiuso piuttosto che affrontare spese legali enormi. Ma resta il fatto che nessuno della Questura ha voluto ascoltare la mia versione prima di prendere una decisione così pesante».
La versione della Questura: “Aggressione gravissima e ripetuti episodi. Locale frequentato da soggetti pericolosi”
Il decreto di sospensione, contenuto nel verbale lungo oltre sei pagine, ricostruisce invece un quadro più severo. Secondo quanto riportato dagli agenti, nelle prime ore del 12 novembre una pattuglia ha trovato un cittadino marocchino a terra, dolorante, che ha riferito di essere stato trascinato fuori dal bar e picchiato da tre uomini, che gli avrebbero anche rubato cellulare e portafoglio. L’episodio è documentato dalle telecamere. Due degli aggressori – entrambi irregolari, con numerosi precedenti per reati contro il patrimonio e la persona – sono stati rintracciati poco lontano e accompagnati in Questura. Per entrambi è scattata l’espulsione con trasferimento al CPR di Palazzo San Gervasio. Secondo il questore Ferrari, questa aggressione non sarebbe un episodio isolato. Il decreto cita: una rissa del 18 ottobre, avvenuta davanti al locale con il coinvolgimento di “numerosi cittadini stranieri irregolari”; un controllo del 30 ottobre, durante il quale vari avventori del bar sono risultati avere precedenti penali significativi e una più generica “frequentazione assidua del locale da parte di soggetti gravati da precedenti per stupefacenti, rapina, resistenza, invasioni di edifici, violenze, reati contro la persona e contro il patrimonio”. La Questura ritiene dunque che il bar costituisca «un pericolo concreto per l’ordine pubblico e per la sicurezza collettiva», tanto da giustificare la sospensione immediata della licenza.
Una zona che continua a dividere
Via Cappuccini è da anni uno dei punti più problematici della città ed evidentemente riempire il parco di iniziative di associazioni culturali serve ma non risolve. Il provvedimento della Questura non manca di sottolinearlo: la presenza abituale di individui irregolari o con precedenti pesanti viene considerata una minaccia continua alla tranquillità della zona. Milani, però, ribalta l’interpretazione: «Questi soggetti arrivano in zona perché qui trovano alcol a prezzi bassissimi, non perché vengono al Moskito. Noi siamo semmai l’ultimo anello della catena. Entrano da noi già alterati dopo aver bevuto altrove. E quando chiamiamo le forze dell’ordine lo facciamo per evitare proprio queste situazioni. Ci siamo persino dotati più volte di personale di sicurezza privata della ditta Safe Group pagato direttamente da noi: lo abbiamo fatto per difenderci da certe frequentazioni. Il problema è che questi esercizi commerciali continuano ad essere alla base di queste derive ma non si prendono provvedimenti come con i bar».
La domanda aperta: la chiusura cambierà la situazione del quartiere?
Per i prossimi 30 giorni, dinque, il Bar Moskito resterà chiuso. Ma resta la domanda – posta dallo stesso Milani – se questo basterà a migliorare davvero le condizioni della zona. Il provvedimento, nelle intenzioni della Questura, ha valore preventivo: interrompere la catena di episodi violenti che negli ultimi mesi ha coinvolto il locale. Milani teme invece che la chiusura finisca per colpire una delle poche attività che, a suo dire, “cerca di tenere la zona viva e controllata. Siamo arrivati con la volontà di ridare vita sana e pulita a questa strada: ora sembra che il problema siamo noi”.
✍️ Alan Conti

