A 80 anni dal Polizeiregiment Bozen, Via Rasella e le Fosse Ardeatine
Nell’anniversario dell’attacco alla colonna tedesca e della successiva strage delle Fosse Ardeatine, ripercorriamo con il professor Giuseppe Parlato la storia della Bozen, il concepimento dell’azione dinamitarda partigiana ed il suo significato nell’economia della guerra di liberazione, ricordiamo le vittime della rappresaglia e i suoi esiti giudiziari
I fatti sono noti: il 23 marzo 1944 il Polizeiregiment Bozen, un reparto militare formato da coscritti altoatesini durante l’occupazione nazista dell’Alto Adige, subisce un attentato nell’ambito della guerra partigiana ad opera dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) mentre è in servizio nella città di Roma. L’esito sarà di 33 morti e 53 feriti tra i soldati ed innescherà la terribile rappresaglia delle Fosse Ardeatine, nella quale perderanno la vita in 335 tra prigionieri politici, comuni e per motivi razziali.
I soldati della Bozen che incontriamo in via Rasella sono di madrelingua tedesca e ladini, Optanten – che avevano scelto di lasciare il Suedtirol in favore della Germania – ma anche Dableiber, ovvero cittadini formalmente italiani, nati tra il 1900 ed il 1912 e che avevano svolto, in gran parte, il servizio di guerra con il Regio Esercito.
Su di essi si è detto tutto ed il contrario: dipinti come fanatici nazisti da alcuni e come innocui riservisti, suonatori di banda – era stato ordinato loro di cantare Hupf, mein Mädel marciando, al momento dell’attentato – da altri.
LA BOZEN INCROCIA IL PROPRIO DESTINO
Il professor Giuseppe Parlato storico italiano, professore emerito di storia contemporanea e presidente dell’Istituto Storico Italiano per l’età Moderna e Contemporanea, spiega: “Dopo il 25 luglio del 1943 l’Alto Adige entra sotto il controllo amministrativo tedesco. Che i soldati della Bozen fossero nel profondo nazisti o no, cambia poco: sono reclutati per svolgere determinate funzioni. Ed è per questo che divengono oggetto dell’attacco gappista. Di certo non era un reparto speciale con peculiare preparazione ideologica. Non erano nemmeno inquadrati come SS all’epoca dei fatti. Sono persone richiamate – volontari veri o no, questo è un leitmotiv della storia militare – per fare quello che l’occupante tedesco riteneva il loro dovere. L’attacco contro di loro è contro un simbolo. Far saltare la colonna, per la Resistenza, significa aggredire l’esercito tedesco.”
Il 23 marzo del 1944 la Bozen incrocia, quindi, il proprio destino. La giornata è particolare: si tratta del venticinquennale della creazione dei Fasci di Combattimento ed i gappisti romani sono decisi ad intervenire con una azione risonante.
L’attacco, imponente se confrontato con le azioni di guerriglia partigiana condotte in città fino a quel momento, viene coordinato dai soli gruppi comunisti, che escludono le altre fazioni della Resistenza.
LA PREPARAZIONE DELL’ATTACCO PARTIGIANO
“Il partito comunista tenta di valorizzare il proprio contributo e farsi riconoscere come interlocutore dal comando alleato americano, che sembrava assai prossimo all’entrata in Roma e chiedeva azioni di disturbo sempre più intense in preparazione al proprio arrivo.” Continua Parlato: “Ci sono state interpretazioni alternative sulla preparazione dell’attacco, che avrebbe coinvolto anche alcuni partigiani cattolici e socialisti e il Fronte Militare Clandestino del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, finito poi tra i morti alle Ardeatine. Francamente ne dubito, perché i gruppi citati non avevano bisogno di accreditarsi presso gli americani, a differenza di quello comunista che a Roma era il più debole e meno ideologicamente gradito agli alleati occidentali.”
Che cosa succede esattamente in via Rasella? Allo scoppio della bomba e della sparatoria innescata dai GAP, i soldati della Bozen reagiscono esplodendo colpi in direzione delle finestre, immaginando, nella confusione, che l’attacco avesse avuto origine dalle case. Il bilancio finale per la Bozen è di 33 morti, ma anche diversi civili perdono la vita: sei per la precisione, tra cui un ragazzino di 12 anni, Piero Zuccheretti.
Subito il colpo, i vertici militari tedeschi si preparano alla rappresaglia. A pagare con la propria vita saranno 335 italiani, scelti nelle 24 concitate ore successive tra i reclusi del carcere di Regina Coeli e di via Tasso. Tra di loro, ufficiali e sottufficiali appartenenti alla resistenza militare, aderenti al partito d’Azione, Bandiera Rossa, e cittadini italiani di origine ebraica. Pochi, al paragone, gli aderenti al partito comunista.
I PROCESSI PER LE FOSSE ARDEATINE
A compilare le liste dei Todeskandidaten, i condannati a morte, ci sono, oltre ai noti Priebke e Kappler, anche il questore di Roma Pietro Caruso ed il suo vice, Roberto Occhetto, zio di Achille. Il prof. Parlato: “Mentre il primo nel processo celebratosi dopo la liberazione viene condannato a morte e fucilato, il secondo se la cava con la comminazione di 30 anni di reclusione. Ne sconterà due, poi rientrerà nell’amnistia Togliatti e sparirà in Sud America. Un destino fortunato, considerando che all’epoca ci voleva molto poco per rimetterci la pelle, se riconosciuti o anche solo sospettati di collaborazione con il regime nazifascista.”
Sempre in tema di processi, a decidere nel dopoguerra la condanna del feldmaresciallo Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia e tra i responsabili delle Fosse Ardeatine è la sproporzione tra il numero dei soldati caduti e quello dei prigionieri in seguito giustiziati: cinque in più rispetto al criterio applicabile. Il professor Parlato chiarisce a questo proposito un altro aspetto: “Uno dei falsi miti di questa storia, attribuibile al federale di Roma Pizzirani, è che i tedeschi avrebbero, mediante volantino, promesso l’incolumità della popolazione civile a fronte della consegna al comando nazista degli autori dell’attacco alla Bozen. Questo passaggio è stato smentito anche dallo stesso Kesselring al processo.”
Torniamo per un momento alla Bozen: nella strage alle Fosse Ardeatine si incontra una deviazione rispetto all’ordinario: non saranno, infatti, i superstiti della colonna tedesca a fucilare i prigionieri, ma gli uomini del tenente colonnello Kappler, capo della Gestapo – la polizia segreta nazista- a Roma.
Il fatto è inusuale. La motivazione sarebbe l’incapacità del battaglione sudtirolese a eseguire una strage a sangue freddo, constatata dagli stessi comandanti che li consideravano troppo cattolici e non li ritenevano affidabili. E’ stato anche affermato che sarebbero stati gli stessi soldati a rifiutarsi. Mancando, però, traccia di provvedimenti disciplinari successivi a carico del gruppo che deliberatamente avrebbe disubbidito ad un ordine diretto, l’interpretazione risulta difficilmente credibile.
L’AZIONE PARTIGIANA DI VIA RASELLA NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
Trascorrono due mesi e mezzo da Via Rasella e dalle Fosse Ardeatine. Il 4 giugno del 1944 gli americani entrano in Roma. E’ logico chiedersi se, alla vigilia della prevedibile, imminente liberazione, la strage delle Ardeatine possa essere guardata come inutile nell’economia della guerra. Parlato: “Quale sia stato il contributo reale della Resistenza alla liberazione dell’Italia, è tema dibattuto. Per dare una risposta basata sui fatti, più che sulle interpretazioni, guarderei ai trattati di pace del dopoguerra: l’Italia perde tutte le colonie, deve cedere diversi territori alla Jugoslavia di Tito e subisce pesanti limitazioni sugli armamenti. Un trattamento non particolarmente riguardoso nei confronti di chi avrebbe avuto un peso decisivo nella liberazione.
Tornando all’episodio specifico, dobbiamo ancora una volta tenere presente cosa esso significasse per le forze comuniste attive allora nella Resistenza. L’obiettivo era alzare il livello dello scontro costringendo i tedeschi a compiere rappresaglie indiscriminate che, secondo loro, avrebbero infiammato la popolazione prima romana e poi italiana, al punto da insorgere per affrancarsi dal giogo nazista. Nel piano comunista la sollevazione sarebbe dovuta avvenire prima dell’arrivo degli americani, sotto la propria guida, a emulazione di quanto avvenuto nella Jugoslavia di Tito. Le conseguenze di tale strategia sono state pesanti per la popolazione civile e per chiunque si esprimesse a favore di una linea più morbida, a partire dai compagni di lotta delle fazioni cattoliche, azioniste e socialiste.”
Concludiamo con la Bozen. Erano stati soldati nel Regno d’Italia, ma di cultura e lingua germanica e ladina. La morte a Roma, tra le fila di un esercito occupante straniero, ha un peso nel tessuto dei complessi rapporti tra italiani e tedeschi in seno all’autonomia altoatesina? Parlato: “Non direi. Il governo italiano aveva iniziato a porre in discussione le basi di questa convivenza già nel 1919, cambiando i toponimi e i cognomi alle famiglie germanofone. C’è una sostanziale differenza rispetto, ad esempio, all’autonomia istriana, di Fiume, che difendeva sé stessa contro l’imposizione slava attraverso la lingua italiana. Mentre in Alto Adige la peculiarità che il governo italiano andava sistematicamente smontando era proprio quella tedesca, in favore di una totale assimilazione.”